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Duecento anni fa il buco nero centrale s’è svegliato

Non passa giorno che il telescopio Ixpe (Imaging X-ray Polarimetry Explorer) della Nasa, realizzato in collaborazione con l’Agenzia spaziale italiana, non invii sulla Terra informazioni che fanno riscrivere i testi di astronomia e che dimostrano l’efficacia dell’innovativa suite di rivelatori che compongono la sua strumentazione, sviluppati, realizzati e testati dall’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e dall’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf). La sua ultima scoperta riguarda Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio al centro della nostra galassia, la Via Lattea – un oggetto molto meno luminoso di altri buchi neri al centro di altre galassie osservate fino ad oggi. Questo dimostrerebbe che il buco nero centrale della nostra galassia non ha assorbito attivamente materiale attorno a sé. Ixpe suggerisce invece che l’antico gigante addormentato si sia svegliato di recente, circa 200 anni fa, per divorare gas e altri detriti cosmici nei suoi dintorni.

Sagittarius A* si trova a più di 25mila anni luce dalla Terra, ed è il buco nero supermassiccio più vicino a noi, con una massa stimata milioni di volte quella del Sole. Spesso abbreviato dai ricercatori in Sgr A*, si trova nella costellazione del Sagittario, proprio al centro della Via Lattea.

Gli scienziati si sono rivolti a Ixpe per uno sguardo più da vicino, dato che studi precedenti hanno rilevato emissioni nei raggi X relativamente recenti di gigantesche nubi di gas nelle sue vicinanze. Visto che la maggior parte delle nubi cosmiche, chiamate nubi molecolari, sono fredde e scure, i raggi X provenienti da queste nubi sarebbero dovuti essere deboli. Invece, brillavano luminosi.

«Uno degli scenari per spiegare perché queste gigantesche nubi molecolari sono così brillanti è che, in effetti, riecheggiano un lampo di luce a raggi X scomparso da tempo, indicando che il nostro buco nero supermassiccio non era così quiescente alcuni secoli fa», dice Frédéric Marin, astronomo all’Osservatorio astronomico di Strasburgo, in Francia, e autore principale del nuovo studio, pubblicato sulla rivista Nature.

Ixpe, progettato per misurare la polarizzazione della luce nei raggi X, ovvero la direzione e l’intensità media del campo elettrico delle onde luminose, ha osservato queste nubi molecolari due volte nel 2022, nei mesi di febbraio e marzo. Quando gli astronomi hanno combinato i dati ottenuti con le immagini del satellite X Chandra della Nasa, confrontandoli con le osservazioni d’archivio della missione Xmm-Newton dell’Agenzia spaziale europea (Esa), hanno potuto isolare il segnale nei raggi X riflesso e scoprirne il punto di origine esatto.

«Le osservazioni di Sgr A* sono state tra le più esigenti, in termini di tempo richiesto, nel primo anno di vita operativa di Ixpe.  Questo al fine di ottenere dati sufficientemente accurati per misurare la polarizzazione dei raggi X  nella regione del centro galattico per “far luce” sul mistero legato all’attività pregressa del buco nero», spiega Imma Donnarummaproject scientist Asi della missione Ixpe.

«L’angolo di polarizzazione agisce come una bussola, indicandoci la misteriosa sorgente dell’illuminazione scomparsa da tempo», aggiunge Riccardo Ferrazzoli, ricercatore all’Inaf di Roma. «E cosa c’è in quella direzione? Nient’altro che Sagittarius A*».

Analizzando i dati, il team ha scoperto che i raggi X delle gigantesche nubi molecolari sono in realtà luce riflessa prodotta da un bagliore intenso e di breve durata che ha origine nelle vicinanze di Sagittarius A*, probabilmente causato dall’accrescimento di parte del gas di quelle nubi da parte del buco nero.

«I dati hanno anche aiutato i ricercatori a stimare la luminosità e la durata del bagliore originale, suggerendo che l’evento si è verificato circa 200 anni fa, più o meno all’inizio del 19esimo secolo. Il prossimo obiettivo del team è quello di ripetere l’osservazione e ridurre le incertezze della misurazione», conclude Steven Ehlertproject scientist di Ixpe presso il Marshall Space Flight Center della Nasa a Huntsville, in Alabama. «I nuovi dati potrebbero migliorare la stima dell’origine temporale e dell’intensità del bagliore originale al suo apice. Aiuteranno inoltre a determinare la distribuzione tridimensionale delle gigantesche nubi molecolari che circondano il buco nero quiescente. Ancora più importante, tali studi aiutano i ricercatori a ottenere una nuova comprensione dei processi fisici necessari per risvegliare Sagittarius A* di nuovo, anche se solo temporaneamente, dal suo sonno inquieto».

 

Fonte: Media INAF

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