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Il mistero delle Geminidi

Lo sciame meteorico delle Geminidi è fra i più intensi che si possano vedere nei cieli terrestri, ma è molto meno famoso dello sciame delle Perseidi – visibili nelle notti attorno al 12-13 agosto (popolarmente chiamate “Lacrime di San Lorenzo“) – perché il picco delle Geminidi si verifica il 14 dicembre. A differenza degli altri sciami meteorici che sono, per lo più, di origine cometaria, il corpo progenitore dei meteoroidi delle Geminidi è l’asteroide near-Earth (2300) Phaethon che, con il suo diametro di 5 km, è nell’elenco dei circa mille Neo noti con un diametro superiore a 1 km.

Considerato che la temperatura superficiale di Phaethon arriva a circa 750 °C durante il passaggio al perielio, è chiaro che ogni elemento volatile in superficie è stato perso da tempo nello spazio e non può essere responsabile dell’emissione dei meteoroidi che va a rifornire la corrente delle Geminidi, come accadrebbe per una classica cometa. Per questo motivo sono stati ideati meccanismi alternativi in grado di espellere meteoroidi nello spazio, come la fratturazione termica delle rocce oppure la sublimazione del sodio presente nella matrice rocciosa del corpo, che farebbe le veci del ghiaccio d’acqua in una cometa tradizionale. Tuttavia lo sciame delle Geminidi può essere associato anche agli asteroidi (155140) 2005 UD e (225416) 1999 YC, entrambi con un diametro di circa 1 km. La presenza di questi corpi di grandi dimensioni associati alle Geminidi – e quindi a Phaethon – apre la possibilità che, nel recente passato, Phaethon sia andato soggetto a una collisione che l’ha frammentato, creando la corrente di meteoroidi e gli altri due asteroidi associati.

Recentemente la genesi delle Geminidi è stata l’oggetto della ricerca di Wolf Cukier e Jamey Szalay della Princeton University, fatta utilizzando i dati raccolti dalla Parker Solar Probe (Psp). La Psp è una sonda della Nasa lanciata il 12 agosto 2018 per lo studio della corona solare, ma è passata vicino al centro della corrente di meteoroidi delle Geminidi in prossimità del perielio, fornendo dati utili per capirne l’origine. Infatti, già nel novembre 2018 la Psp aveva ripreso una scia di polvere che seguiva Phaethon lungo la sua orbita con una massa complessiva paragonabile a quella della corrente delle Geminidi, e molto più elevata di quanto l’asteroide potrebbe mai fornire in base ai meccanismi di attività noti. Inoltre la scia di polvere rilevata dalla Psp era per lo più localizzata all’esterno all’orbita dell’asteroide. La Psp ha anche rilevato degli impatti di grani di polvere sulla sua superficie provenienti in parte dalla polvere zodiacale e in parte da una sorgente ignota che poteva essere lo sciame delle Geminidi. L’identificazione di questa sorgente di grani di polvere ha indotto Cukier e Szalay ad approfondire l’analisi per cercare di capire se fossero davvero i meteoroidi delle Geminidi.

I ricercatori hanno ricostruito al computer l’evoluzione dei meteoroidi in base a tre possibili scenari di formazione e poi li hanno confrontati con quanto si osserva. Il primo scenario è stato chiamato modello base: considera il rilascio di meteoroidi in tutte le direzioni dalla superficie di Phaethon durante il passaggio al perielio e con velocità relativa nulla rispetto all’asteroide. Questo modello rappresenta un’emissione di meteoroidi in seguito a una collisione a bassa velocità con Phaethon. Il secondo scenario è il modello violento: ha le stesse condizioni del base, ma qui la velocità relativa di emissione è di 1 km/s, come conseguenza di un impatto energetico su Phaethon. Infine il terzo scenario è il modello cometario, in cui il rilascio di meteoroidi dalla superficie di Phaethon avviene con un tasso inversamente proporzionale alla distanza dal Sole. Per ogni modello è stata simulata l’evoluzione orbitale di diecimila o centomila meteoroidi virtuali di diversa dimensione, ed è stato fatto un confronto fra le orbite ottenute con quelle osservate delle Geminidi.

Nel modello base i meteoroidi sono distribuiti lungo tutta l’orbita di Phaethon, ma la densità di particelle varia radialmente: il numero maggiore di particelle è interno all’orbita, mentre all’esterno il numero di particelle è minore. Come previsto, le particelle che orbitano più vicino all’orbita di (3200) Phaethon sono generalmente le più massicce e la massa caratteristica diminuisce quando ci si allontana dall’orbita del corpo genitore. Nel modello violento le particelle sono ancora distribuite lungo l’orbita di Phaethon, ma in modo più diffuso per via della velocità iniziale diversa da zero. Inoltre le particelle di dimensioni diverse appaiono maggiormente mescolate rispetto al modello base. Infine, nel modello cometario i meteoroidi si muovono in prevalenza all’interno dell’orbita di Phaethon. Questo accade perché, essendo emesse lungo tutta l’orbita di Phaethon quindi anche all’afelio, le particelle sentono poco la pressione della radiazione e perdono momento angolare per l’effetto Poynting–Robertson che diventa dominante. In queste condizioni le particelle tendono a cadere verso il Sole diminuendo così il semiasse maggiore dell’orbita.

Confrontando il flusso di meteoroidi che hanno colpito la Psp in funzione del tempo con quello atteso in base ai tre scenari simulati, è risultato che il migliore accordo si ha con il modello violento, anche se il numero di impatti simulati per unità di tempo è inferiore a quello effettivamente misurato di un fattore pari a un milione. Inoltre tutti e tre gli scenari falliscono nel riprodurre la data di incontro con la Terra dei meteoroidi simulati: c’è una differenza di circa un giorno, il che non è poco. Certo, dimostrare che la nascita dei meteoroidi delle Geminidi è dovuta a un violento impatto avrebbe il vantaggio di spiegare anche la presenza di 2005 UD e 1999 YC come frammenti del proto-Phaethon.  Per capire come siano andate le cose sarà necessario osservare ulteriormente la morfologia del flusso di meteoroidi tramite imaging diretto per risolverne la struttura spaziale sia usando la Psp, sia con altre missioni future. In questo modo, probabilmente, saremo in grado di limitare in modo significativo i possibili meccanismi di formazione: molto lavoro resta ancora da fare per comprendere la genesi della corrente di meteoroidi delle Geminidi.

 

Fonte: Media INAF

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