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Tesoro, mi si sono ristrette le galassie nane

Così come le nane brune si trovano in bilico sulla soglia tra piccole stelle e grandi pianeti, le galassie nane ultracompatte (Ucd, dall’inglese ultra-compact dwarf) sono oggetti di confine tra normali galassie nane e ammassi stellari. Oggetti ad altissima densità: in una sfera relativamente ridotta – parliamo di un raggio compreso fra 30 e 300 anni luce – le nane ultracompatte arrivano infatti a contenere fino 200 milioni di stelle. Ma qual è la loro origine? Uno studio condotto con il telescopio Gemini North, individuando nell’ammasso della Vergine un centinaio di “anelli mancanti” – vale a dire, galassie in transizione dallo stadio di nane a quello di ultracompatte – è riuscito ora a ricostruire il percorso evolutivo di questi oggetti di difficile classificazione. Confermando così un’ipotesi avanzata già una ventina d’anni fa, quando le prime Ucd vennero scoperte, ma finora mai dimostrata: le nane ultracompatte sono, probabilmente, i resti fossili di normali galassie nane private dei loro strati più esterni.

«I nostri risultati forniscono il quadro più completo dell’origine di questa misteriosa classe di galassie, scoperta quasi 25 anni fa», dice Eric Peng, astronomo del NoirLab e coautore dell’articolo che descrive questi risultati, pubblicato questa settimana su Nature. «Quelle che presentiamo sono 106 piccole galassie nell’ammasso della Vergine con dimensioni comprese tra le normali galassie nane e le Ucd, mostrando così un continuum che colma il “gap dimensionale” tra gli ammassi stellari e le galassie».

A rendere complesse le osservazioni è stata soprattutto la difficoltà nel distinguere i candidati progenitori di Ucd – individuati nelle immagini della Next Generation Virgo Cluster Survey, guidata dall’astronoma italiana Laura Ferrarese, coautrice dello studio, e condotta con il Canada-France-Hawaii Telescope – dalle galassie presenti sullo sfondo. Per riuscirci è stato necessario ricorrere a misure spettroscopiche realizzate, appunto, con il Gemini North – misure che hanno permesso di stimare la distanza delle singole galassie ed eliminare dal campione quelle di background, non appartenenti all’ammasso della Vergine.

Aver individuato così tante galassie a diversi stadi evolutivi ha consentito non solo di confermare la “direzione” del processo di formazione – da galassia nana a nana ultracompatta, come dicevamo – ma anche di intuire in che modo avvenga il “rimpicciolimento”: tutti gli indizi di colpevolezza fanno puntare il dito verso le galassie massicce che si trovano nei dintorni. Massicce al punto da “sbucciare” poco per volta le galassie nane, strappando loro – per attrazione gravitazionale – gli strati più esterni di gas, stelle e materia oscura.

«Una volta analizzate le osservazioni condotte con Gemini ed eliminata tutta la contaminazione di fondo», spiega infatti il primo autore dello studio, Kaixiang Wang, dottorando all’Università di Pechino, «abbiamo potuto constatare che queste galassie di transizione si trovavano quasi esclusivamente vicino a galassie più grandi. Abbiamo così capito subito l’importanza rivestita dall’ambiente circostante».

 

Fonte: Media INAF

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