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Se le galassie vanno a banane

Se vi siete mai chiesti che forma avessero le galassie all’inizio dei tempi e vi sono venute in mente le immagini di maestose galassie a spirale e imponenti galassie ellittiche, molto probabilmente vi state sbagliando. Uno studio guidato da Viraj Pandya della Columbia University e del Flatiron Institute di New York ha infatti rivelato che una vasta frazione (dal 50 fino all’80 per cento) di un campione di circa quattromila galassie osservate nell’universo lontano ha una forma allungata e schiacciata, che ricorda niente meno che quella di una banana. Le galassie appena nate risultano dunque nettamente diverse da quelle che popolano l’universo attuale, caratterizzato per lo più da galassie a disco e, in minor parte, da galassie sferoidali. La ricerca è stata condotta nell’ambito del programma Ceers (the Cosmic Evolution Early Release Science Survey), che utilizza il telescopio spaziale James Webb per esplorare le galassie distanti. La scoperta risulta di particolare rilevanza, tanto che ieri le è stata dedicata una press release della Nasa e un articolo apparso recentemente sul New York Times. Abbiamo chiesto ad Adriano Fontana dell’Inaf – Osservatorio astronomico di Roma, co-autore dello studio, di commentare questi risultati.

Se l’aspettava che le galassie appena nate fossero fatte così o è stata una sorpresa?

«In parte è una sorpresa, in quanto sapevamo già da prima che le galassie hanno un’evoluzione che porta a modificare nel tempo la loro forma, e che la storia è diversa a seconda delle dimensioni. Però si tendeva a ritenere che l’evoluzione favorisse degli oggetti dalla forma a disco o comunque una componente importante di disco in rotazione. Questo lavoro invece indica che c’è una percentuale elevata di oggetti che non ha una forma regolare prodotta dalla rotazione bensì una forma più allungata, che il primo autore dell’articolo ha scherzosamente definito “a banana”, che è un gioco di parole».

Cosa sono queste galassie “a banana”? In cosa si distinguono rispetto a quelle che popolano l’universo attuale?

«Dire in inglese che una cosa “va a banana” vuol dire che è impazzita. Tecnicamente la banana ha la forma prolata, cioè una forma allungata, ed è quella che sembra caratterizzare parecchie galassie, soprattutto quelle piccole e quelle osservate all’inizio dei tempi. Quello che è sorprendente e che non ci aspettavamo è che questi oggetti siano abbastanza diffusi e non rari, come pensavamo all’inizio».

La forma tridimensionale delle galassie è stata determinata a partire dalla forma bidimensionale delle stesse osservata nelle immagini. Ci spiega come ciò viene reso possibile?

«È un argomento statistico. La forma che vediamo è dovuta alla forma intrinseca orientata in tutti i possibili modi casuali. Noi abbiamo trovato che gli oggetti con la forma molto allungata sono troppi per essere spiegati semplicemente da un orientamento casuale di un disco. Quindi questo vuol dire che è invece la loro forma intrinseca che è prolata, ovvero allungata in quella maniera».

Quali sono le maggiori incertezze associate alla tecnica utilizzata in questo studio?

«Per esempio, in questo lavoro assumiamo che le galassie siano orientate in maniera casuale e che la distribuzione delle loro forme sia di un certo tipo. Ci potrebbero essere delle combinazioni diverse che non abbiamo considerato e che danno lo stesso risultato apparente. Un secondo aspetto è che, anche se Webb è uno strumento così straordinario, perdiamo una parte della luce nelle zone meno brillanti delle galassie. È  quindi possibile che le nostre osservazioni, soprattutto di oggetti deboli e lontani, non siano definitive».

Una delle questioni più intriganti indagate dall’astrofisica riguarda la natura della materia oscura. Può questo studio fornirci qualche indicazione rispetto a una delle componenti più misteriose dell’universo?

«Le stelle all’interno di una galassia si muovono seguendo la forza di gravità e la forza di gravità è determinata proprio dalla materia oscura che le tiene insieme. È possibile che questo risultato ci indichi che anche gli aloni di materia oscura abbiano una forma a banana, e che quindi le stelle tendano a seguire questa forma. È interessante notare che le simulazioni fatte al computer in alcuni casi prevedono dei risultati di questo tipo mentre in altri ne prevedono diversi. Quindi questo risultato può indicare che anche i nostri modelli teorici vanno compresi meglio per riprodurre quello che vediamo».

Anche la Via Lattea, che sappiamo essere ora una galassia a disco, era una galassia a banana nella sua “infanzia”?

«La nostra galassia fa parte delle galassie più grandi e per questo tipo di oggetti anche il nostro studio dimostra che la percentuale di dischi tende a essere più elevata e che si sono formati prima. È dunque possibile che la nostra galassia sia nata o che sia da molto tempo un oggetto in rotazione. Come fosse l’antico progenitore nelle prime fasi ormai è andato perso ed è anche possibile che fosse una piccola “banana”. Poi, negli eventi di fusione tra galassie, molto spesso la morfologia viene completamente rivoluzionata e dunque è possibile che questi eventi abbiano ridistribuito tutto e che si sia formato il disco che vediamo oggi».

Quali sono i prossimi passi da compiere per sapere qualcosa in più sulle galassie appena nate?

«Sicuramente sarebbe interessante studiare la velocità delle stelle all’interno delle galassie, almeno per gli oggetti più brillanti e grandi.  Questa sarà una delle cose che potremo fare fra alcuni anni con l’Extremely Large Telescope, il futuro telescopio da quasi quaranta metri in costruzione in Cile, che essendo molto più grande e sensibile di Webb permetterà di fare queste misure. Quindi non solo vedere la forma ma vedere come si muovono le stelle nel loro insieme».

 

Fonte: Media INAF

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