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Mostri in crescita sotto l’occhio di Webb

Le galassie sono come delle ampie isole nell’oceano cosmico fatte di stelle, polvere e gas. Queste imponenti strutture possono legarsi gravitazionalmente tra loro dando origine a vasti ammassi filamentosi e interconnessi. Questa rete cosmica appare tenue inizialmente, diventando sempre più distinguibile man mano che la gravità unisce la loro materia fatta di stelle e gas.

Utilizzando il James Webb Space Telescope, alcuni ricercatori guidati dall’Università dell’Arizona (Ua) negli Stati Uniti – tra i quali Roberto Decarli e Federica Loiacono di Inaf Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio di Bologna – hanno scoperto una disposizione filiforme di dieci galassie che esisteva solo 830 milioni di anni dopo il Big Bang. La struttura galattica – catturata dalla Nircam (Near-Infrared Camera) di Webb – appare lunga tre milioni di anni luce e sembrerebbe collegata a un quasar molto distante e luminoso, conosciuto come J0305-3150.

Secondo lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati in due articoli su The Astrophysical Journal Letters il 29 giugno scorso, il filamento evolverà in un enorme ammasso di galassie, molto simile all’ammasso Abell 1656, noto come Ammasso della Chioma, presente nell’universo locale. Il risultato è sorprendente, come spiega Feige Wang dell’Ua e primo autore di uno dei due articoli: «Questa è una delle prime strutture filamentose mai individuate e associate a un quasar così distante».

La scoperta si inserisce all’interno del progetto Aspire (A SPectroscopic survey of biased halos In the Reionization Era), il cui obiettivo principale è studiare gli ambienti cosmici dei primi buchi neri. Proprio per questo, parte del lavoro di ricerca indaga le proprietà di otto quasar nell’universo primordiale, confermando che i loro buchi neri centrali, esistiti meno di un miliardo di anni dopo il Big Bang, hanno una massa compresa tra 600 milioni e 2 miliardi di volte la massa del Sole.

Come questi buchi neri possano crescere così velocemente, ancora gli astronomi non sono in grado di spiegarlo. «Per formare questi buchi neri supermassicci in così poco tempo, devono essere soddisfatti due criteri», spiega Wang, «Innanzitutto, l’oggetto deve iniziare a crescere a partire da un enorme “seme” di buco nero. In secondo luogo, anche se questo seme iniziasse con una massa equivalente a mille soli, avrebbe ancora bisogno di accumulare un milione di volte più materia al massimo tasso possibile, per tutta la sua vita».

Un’altra domanda spinosa riguarda gli enormi deflussi di materia che durante la formazione di un buco nero supermassiccio possono estendersi ben oltre il buco nero stesso, su scala galattica, e ostacolare la formazione delle stelle, come spiega Jinyi Yang dell’Ua, primo autore del secondo articolo: «Tali venti sono stati osservati nell’universo vicino, ma non sono mai stati osservati direttamente nell’epoca della reionizzazione (ndr, periodo in cui il gas primordiale, di cui è pervaso l’universo giovane, passa dallo stato neutro a quello ionizzato). La scala del vento è legata alla struttura del quasar. Nelle osservazioni di Webb, stiamo osservano che tali venti esistevano nell’universo primitivo».

Dunque, è nato prima il buco nero o la galassia tutt’attorno? Non possiamo saperlo. Gli ultimi due decenni di ricerca cosmologica hanno fornito una solida comprensione sulla formazione ed evoluzione della rete cosmica, ma ulteriori osservazioni di Webb potrebbero fornire risposte senza precedenti su alcune delle più intricate domande sull’evoluzione dell’universo.

 

Fonte: Media INAF

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