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Vengo da Maxi J1810-222, e vado a gonfie vele

Possono essere “lenti”, veloci o ultraveloci, guidati da processi termici, radiativi o magnetici. Stiamo parlando degli outflows: potenti venti di gas e particelle lanciati a elevate velocità dagli oggetti compatti che accrescono materia; emissioni così energetiche che possono portare via una frazione significativa della massa e dell’energia del disco di accrescimento che circonda l’oggetto compatto – la struttura a forma di anello dove la materia circostante si accumula prima di essere ingurgitata – con profondi effetti sulla sua evoluzione.

Un team internazionale di astronomi guidato dall’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), e comprendente ricercatori dell’Institute of Space Sciences (Ice, Csic), in Spagna, dell’Università di Grenoble Alpes e dell’Irap di Toulouse, in Francia, e dell’Università di Cagliari ha scoperto per la prima volta la presenza di venti ultraveloci, ultra-fast outflows (Ufo) in inglese, provenienti da una sorgente in cui non ci si aspettava di osservare tali emissioni.

La sorgente in questione è Maxi J1810-222, un sistema binario costituito da un oggetto compatto, molto probabilmente un buco nero, che accresce materia da una stella compagna di dimensioni simili a quelle del Sole. Questi oggetti celesti alternano lunghe fasi di quiescenza a fasi attive molto più brevi, durante le quali diventano molto luminose alle lunghezze d’onda dei raggi X.

«Normalmente i buchi neri di massa stellare lanciano venti a velocità di un migliaio di km al secondo», spiega a Media Inaf  Melania Del Santo, ricercatrice all’Inaf di Palermo e prima autrice dello studio, accettato per la pubblicazione su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society Letters, che riporta i risultati della scoperta.

«Maxi J1810-222, una sorgente scoperta nel 2018 e che stiamo tutt’ora monitorando con diversi telescopi perché ancora in fase attiva, ci ha colto di sorpresa, mostrando un vento con velocità fino al 15 per cento della velocità della luce (pari a 45mila Km al secondo) nei periodi di massima luminosità. Questa è la prima volta che osserviamo un vento così veloce in sistemi binari la cui luminosità non supera quella di Eddington, la luminosità limite teorica massima raggiungibile da un oggetto in base alle sue dimensioni».

Per individuare la potente espulsione di materia, il team di ricerca ha studiato Maxi J1810-222 utilizzando i dati spettrali ottenuti tra febbraio 2019 e settembre 2020 dello strumento Nicer (Neutron Star interior composition explorer), un rivelatore per raggi X della Nasa installato dal 2017 sulla Stazione spaziale internazionale, sviluppato per comprendere la fisica degli oggetti compatti grazie agli spettri che è in grado di ottenere.

Un modo per studiare i venti astrofisici è infatti quello di utilizzare la spettroscopia a raggi X, che permette di determinare le proprietà dei venti analizzando la radiazione X del disco di accrescimento assorbita dalle particelle del vento stesso, fornendo così informazioni sulla velocità, la temperatura e lo stato di ionizzazione del gas. Analizzando i dati spettrali di Nicer, gli astronomi hanno rivelato una caratteristica riga di assorbimento spettrale a circa 1 keV – l’unità di misura in energia tipica della radiazione X –, che hanno poi caratterizzato con un modello fisico, scoprendo la presenza di uno spostamento doppler verso il blu: la firma del moto del vento verso l’osservatore.

«Solitamente queste righe intorno a 1 keV  sono osservate nelle sorgenti ultraluminose ai raggi X (Ulx), sistemi binari costituiti da un buco nero o una stella di neutroni e da una stella compagna, caratterizzati da luminosità fino a diverse centinaia di volte il limite di Eddington», aggiunge Ciro Pinto, ricercatore all’Inaf di Palermo e co-autore dello studio. «In queste sorgenti le elevate velocità dei venti sono causate dalla forte pressione di radiazione X emessa dal disco di accrescimento dell’oggetto compatto, ma questo meccanismo di lancio non funzionerebbe in Maxi J1810-222, che non mostra le caratteristiche tipiche delle Ulx».

Ma qual è il motore responsabile dell’accelerazione di questi venti?  Il semplice irraggiamento (venti termici) e la pressione di radiazione (venti radiativi) non sarebbero in grado di far raggiungere tali velocità al vento in MAXI J1810-222 e in generale ai venti nelle classiche binarie a raggi X, spiegano i ricercatori.

 

«Nonostante i processi fisici che producono venti nelle binarie ai raggi X non siano ben compresi, velocità così alte come quelle osservate in Maxi J1810-222 suggeriscono fortemente che il meccanismo di lancio sia dovuto alla presenza di potenti campi magnetici (venti magnetici) nell’ambiente circostante l’oggetto compatto», sottolinea Pierre-Olivier Petrucci dell’Università di Grenoble, tra gli autori dello studio.

L’astrofisica dei venti è uno dei principali obiettivi dei futuri telescopi ad alta risoluzione per raggi X, come quelli a bordo dei satelliti Xrism e Athena, concludono i ricercatori. Nel prossimo futuro, ci dedicheremo allo studio di un campione più ampio di queste sorgenti con strumenti diversi, per meglio comprendere le caratteristiche degli ultra-fast outflows  e i loro effetti sull’evoluzione di sistemi binari.

 

Fonte: Media INAF

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