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Tradita dall’ombra nello spettro del quasar

Comunemente, siamo abituati a studiare le galassie attraverso la luce che esse emettono nelle diverse regioni dello spettro elettromagnetico. La radiazione emessa ci consente di caratterizzare nel dettaglio numerose proprietà che riguardano le stelle, i gas e le polveri che costituiscono le galassie, oltre che di scoprirne di nuove. Tuttavia, questo non è l’unico modo per studiare le galassie. Una tecnica impiegata a partire dagli anni ‘80 consiste infatti nell’analizzare questi oggetti grazie alla luce assorbita. Può accadere infatti che, per meri effetti di proiezione, una galassia si trovi davanti a una sorgente molto luminosa – tipicamente un quasar distante, ovvero un nucleo galattico estremamente brillante a causa dell’accrescimento di materiale su un buco nero supermassiccio. Il gas e la polvere della galassia fanno allora “da schermo” alla luce del quasar, assorbendone la radiazione emessa a delle lunghezze d’onda specifiche. E così accadrà che, quando andremo a studiare la luce emessa dal quasar in funzione della lunghezza d’onda, ovvero il suo spettro, ci imbatteremo in dei veri e propri “buchi” nello spettro del quasar, la cui posizione ci fornisce indicazioni importanti sulla galassia responsabile dell’assorbimento.

Attraverso questa tecnica sono state rivelate numerose galassie, che altrimenti risulterebbero invisibili, sovrastate dalla luce emessa dai quasar più lontani. Una di queste è stata scoperta nel 2019 e si trova ad una distanza di oltre dieci miliardi di anni luce dalla Terra. La particolarità di questa sorgente consiste nel fatto che assorbe molta più luce dei sistemi di stelle tipicamente individuati con questa tecnica, il che suggerisce che si tratti di un oggetto piuttosto ricco di polveri. Inoltre, alcune caratteristiche della polvere sono simili a quelle che si riscontrano nell’universo locale. Tutto questo ci dice che si tratta di un oggetto evoluto, benché al momento dell’assorbimento della radiazione l’universo avesse meno di tre miliardi di anni.

Data la peculiarità della sorgente, alcuni ricercatori guidati da Johan Fynbo, professore di astronomia del Cosmic Dawn Center di Copenaghen, hanno deciso di riosservare il quasar, stavolta con l’obiettivo di rivelare la luce emessa dalla galassia responsabile dell’assorbimento. La luce assorbita ci consegna infatti un’immagine solo parziale di quel che accade all’interno di una galassia. Se vogliamo conoscere nel dettaglio le proprietà del gas e delle popolazioni stellari è fondamentale analizzare anche la radiazione emessa. Per fare questo, il team  si è servito di dati raccolti con tre telescopi diversi pur di individuare la sorgente: Hubble, il Nordic Optical Telescope e il GranTeCan.

Tuttavia, nonostante gli sforzi investiti nelle osservazioni e nella successiva analisi dei dati, la galassia sfugge agli occhi degli astronomi. L’ipotesi avanzata nello studio – in uscita su Astronomy & Astrophysics – è che la galassia sia posizionata esattamente davanti al quasar, che dunque ne preclude la visione, come il riflettore di uno stadio che si trovi dietro a una lucciola.

Le osservazioni però non sono state vane. Esse infatti hanno consentito di studiare non solo la galassia che provoca l’assorbimento, ma anche le regioni attorno a essa. Si è scoperto infatti che nelle sue vicinanze si trova un’altra galassia. I due oggetti potrebbero essere membri di quello che in astronomia viene detto “gruppo”, ovvero un insieme di galassie legate gravitazionalmente.

«Questo rende le galassie molto più interessanti da studiare», dice Fynbo al sito del Niels Bohr Institute. In futuro questi oggetti potrebbero infatti evolvere in una struttura non dissimile dal Gruppo Locale, ovvero il gruppo di galassie di cui fa parte la Via Lattea assieme alla Galassia di Andromeda e ad altre galassie minori.

Non è chiaro se siano presenti altri oggetti che facciano parte della stessa struttura. Gli autori dello studio prevedono nuove e più profonde osservazioni per cercare nuovamente di stanare la galassia e per indagarne l’ambiente.

 

Fonte: Media INAF

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