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Stelle gemelle, divoratrici di mondi

Forse non inquietanti come le gemelle Lisa e Louise in Shining di Stanley Kubrick, ma anche le coppie di stelle gemelle hanno sicuramente comportamenti peculiari e molto curiosi, tanto da suscitare l’interesse degli astronomi. Uno studio pubblicato questa settimana su Nature rivela che almeno una stella su dodici potrebbe aver inghiottito un pianeta.

Utilizzando il satellite Gaia dell’Agenzia spaziale europea, un team internazionale guidato dai ricercatori del progetto australiano Astro-3D (Arc Centre for All Sky Astrophysics in 3D) ha osservato stelle gemelle, relativamente vicine l’una all’altra – meno di un milione di unità astronomiche di distanza – e probabilmente “nate” nello stesso periodo, cercando di dedurne la composizione chimica elementare.

In generale, quando le molecole vengono riscaldate emettono spettri di lunghezze d’onda della luce unici, dai quali è possibile risalire agli elementi chimici di cui sono composte. Poiché le molecole stellari sono esposte a temperature molto elevate, gli scienziati che analizzano la luce proveniente da stelle lontane possono dunque carpire anche i segreti della loro composizione chimica. L’individuazione delle firme chimiche dovute  all’eventuale “ingestione” di un pianeta è tuttavia molto difficile, sia a causa dell’ampiezza spesso molto contenuta del segnale prodotto sia per la composizione dei campioni stellari, spesso eterogenei e di età differenti. Il confronto fra gli spettri di stelle gemelle – quelle nate insieme, appunto – si rivela perciò utilissimo: assumendo che le due stelle abbiano identica composizione chimica, l’individuazione negli spettri di firme dovute ai pianeti risulta infatti facilitata.

Nel caso riportato nello studio, per analizzare in dettaglio la luce di stelle co-natali, gli scienziati hanno utilizzato il Very Large Telescope dell’Eso e il Magellan Telescope, entrambi in Cile, e dalle Hawai il Keck Telescope. E hanno concentrato la propria attenzione su 91 coppie di stelle gemelle. Ciò che hanno scoperto è sorprendente: in circa l’8 per cento dei casi le stelle gemelle presentano differenze significative nella loro composizione. In pratica, in circa una coppia su 12 c’è una stella con una composizione chimica diversa rispetto alla gemella, suggerendo dunque che una delle due stelle abbia inghiottito pianeti o materiale planetario.

«Abbiamo osservato stelle gemelle che viaggiano insieme, nate dalla stessa nube molecolare e quindi teoricamente con composizioni chimiche identiche», spiega Fan Liu, ricercatore di Astro-3D della Monash University e autore principale dell’articolo. «Grazie quest’analisi di altissima precisione, siamo stati in grado di cogliere differenze chimiche tra le due stelle. Segno che molto probabilmente una delle stelle ha inghiottito pianeti o materiale planetario, alterando così la propria composizione».

Il fenomeno dell’ingestione di pianeti ha implicazioni profonde per la comprensione dell’evoluzione dei sistemi planetari. Fino a poco tempo fa, si pensava che gli eventi di ingestione planetaria fossero rari e limitati alle fasi finali della vita di una stella: la nuova ricerca suggerisce, al contrario, che non solo le giganti rosse ma anche le stelle che stanno attraversando la fase di sequenza principale, dunque ancora nel pieno della sua vita, possano inghiottire materiale planetario.

Rimane però un dubbio: le stelle “divorano” interi pianeti o si cibano di porzioni di materiale protoplanetario circostante? «È una questione complicata», dice Liu. «L’ingestione dell’intero pianeta è il nostro scenario favorito, ma naturalmente non possiamo escludere che queste stelle abbiano invece ingerito materiale in abbondanza da un disco protoplanetario».

I risultati ottenuti hanno implicazioni di ampio respiro e potrebbero cambiare la nostra comprensione dei sistemi planetari, che ora sappiamo essere estremamente instabili e soggetti a eventi catastrofici come l’ingestione da parte della loro stella madre. «Prima d’ora, gli astronomi tendevano a ritenere che questo tipo di eventi non fosse possibile. Ma dalle nostre osservazioni, al contrario, possiamo dedurre che, sebbene la loro frequenza non sia elevata, è effettivamente possibile che avvengano tali fenomeni», conclude Yuan-Sen Ting, coautore dello studio e ricercatore qll’Australian National University (Anu).

 

Fonte: Media INAF

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