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Se una galassia e un getto di plasma s’incontrano

Siamo in un ammasso di galassie a circa 620 milioni di anni luce da qui. Al suo interno, una galassia a spirale che lo attraversa ha perso il suo gas per un fenomeno noto come ram pressure stripping, nel quale il plasma caldo che permea l’ammasso di galassie strappa il materiale gassoso presente nella galassia creando, in alcuni casi, una coda di trascinamento che le conferisce una forma simile a una medusa. La galassia in questione si chiama JO36 e, a causa dell’interazione con l’ammasso, ha già perso tutto il gas e con esso la coda tipica delle galassie medusa. Ha avuto, inoltre, una storia di formazione stellare peculiare a cui gli astronomi non erano ancora riusciti ad attribuire una spiegazione fisica. Ora però, grazie ai dati radio di una survey condotta con Lofar, hanno visto che sta attraversando uno dei getti della radiogalassia centrale dell’ammasso. Un incontro raro e inatteso, una scoperta – come spesso accade nella scienza – puramente casuale di un sistema unico mai visto prima. I risultati sono in corso di stampa su The Astrophysical Journal.

JO36 fa parte di un programma osservativo chiamato Gasp (Gas stripping phenomena in galaxies with Muse), che conta 94 galassie ram pressure stripped, alcune di queste hanno una forma a medusa e 64 si trovano in ammassi, inizialmente osservate con lo spettrografo a campo integrale Muse del Very Large Telescope. Successivamente le osservazioni delle code di gas ionizzato viste da Muse sono state ampliate a diverse lunghezze d’onda, per catturare una panoramica completa dei fenomeni fisici in atto in queste galassie così particolari. Una mossa necessaria, senza la quale la protagonista di questo studio sarebbe stata semplicemente etichettata come una galassia fuori dal comune, con un probabile passato turbolento. Questo, infatti, quello che si leggeva in un articolo del 2017 di uno dei membri del gruppo Gasp. Fino a quando, appunto, è arrivata la possibilità di cercare alcune di queste galassie fra i dati di Lofar, il radiotelescopio europeo che osserva il continuo radio a basse frequenze (100 MHz) nel cielo dell’emisfero nord. La sovrapposizione fra le due survey – quella di Gasp e quella di Lofar – contava diverse galassie, fra cui JO36. Una galassia un po’ particolare, dicevamo: a differenza di altre galassie del campione e delle galassie medusa, il gas strappato dal corpo non forma una coda evidente alle lunghezze d’onda dell’idrogeno ionizzato e la sua storia di formazione stellare presentava uno strano picco di attività piuttosto recente.

«Quando abbiamo finalmente ricevuto i dati radio ci siamo resi conto che stava attraversando il getto radio di un’altra galassia», spiega Alessandro Ignesti, ricercatore all’Inaf di Padova e primo autore dello studio. Questi “getti radio” – getti di plasma provenienti dalla radiogalassia – sono dovuti all’emissione di particelle relativistiche e sono creati dall’attività del buco nero supermassiccio centrale. «JO36 si trovava quindi ad attraversare i lobi creati dai getti radio della galassia centrale dell’ammasso. Quale sia esattamente la dinamica dell’interazione non è chiaro, ma significa che la galassia si trova in una regione di spazio in cui c’è del plasma relativistico emesso dalla radiogalassia: un ambiente completamente diverso da quello in cui si trovano le altre galassie medusa di Gasp.

Lo studio appena pubblicato non è ancora conclusivo rispetto alla fisica dell’interazione – sottolinea il ricercatore – ma riesce a dimostrare che quanto visto non è un mero effetto di sovrapposizione ottica, bensì una sovrapposizione fisica. Ci sono alcune proprietà fisiche dei due oggetti coinvolti, infatti, che supportano questo scenario. Fra queste la forma dello spettro radio dei getti della radio galassia, o la storia di formazione stellare della galassia medusa, o ancora la sua forma.

Cominciamo quindi dalla variazione nella forma e nelle proprietà del getto radio per effetto del passaggio della galassia medusa JO36. Lo potete vedere nell’immagine posizionata sulla destra. La galassia medusa è l’oggetto piccolo e luminoso all’interno del lobo superiore del getto della radiogalassia. La radiogalassia in questione si trova al centro dell’ammasso, ed è quella che a lunghezze d’onda ottiche appare come la più brillante e viene identificata con la dicitura brightest cluster galaxy, o Bcg (che tradotto dall’inglese significa appunto “galassia più brillante dell’ammasso”). All’interno del getto, che si espande decelerando, si vede una sottostruttura – in corrispondenza del punto di incontro con la galassia – che deforma localmente il campo magnetico. Non è chiaro se sia la galassia che lo attraversa, oppure il getto che si muove attorno alla galassia, come se questa fosse un sasso che affiora sul letto di un fiume che scorre. Per semplicità, però, diremo che la galassia sta attraversando il getto.

«Non era scontato che l’attraversamento di una galassia causasse una perturbazione nel getto radio della Bcg, e infatti andiamo molto cauti su questo», dice Marisa Brienza, ricercatrice all’Inaf di Bologna, seconda autrice dello studio ed esperta di radioastronomia. «La ragione è tutta da indagare, ma siamo riusciti a confermare la presenza della perturbazione attraverso l’analisi spettrale del getto radio».

Una volta fatta la scoperta con Lofar, osservando a 144 MHz, gli autori hanno immediatamente chiesto del tempo osservativo al radiotelescopio indiano Giant Metrewave Radio Telescope per osservare l’oggetto a frequenze più alte (circa 700 MHz). Combinando dati radio a diversa frequenza, infatti, è possibile vedere come si comporta lo spettro radio generato da sincrotrone, il meccanismo fisico generato dal moto degli elettroni relativistici del plasma nel campo magnetico, e che illumina i getti. Secondo le previsioni teoriche, la forma dello spettro segue una legge di potenza lungo le frequenze, e diventa sempre più ripido dal centro verso l’esterno. Succede perché gli elettroni che compongono il getto emesso dal nucleo galattico attivo della radiogalassia perdono energia man mano che si allontanano dal centro, e più perdono energia più la pendenza dello spettro aumenta, diventando più ripida.

«Questo andamento risulta perfettamente ordinato quando osserviamo lo spettro del lobo inferiore», commenta Brienza facendo riferimento alla seconda immagine, quella che vedete sulla sinistra, «mentre quando guardiamo quello superiore mostra delle variazioni non attese, che suggeriscono che un qualche processo fisico abbia disturbato il normale comportamento del getto. Noi pensiamo che sia stato uno shock, causato dal passaggio di un oggetto supersonico. In pratica il passaggio di questo shock trasferisce energia negli elettroni e questo causa una variazione dello spettro. Come abbia origine questo shock nello specifico, o quale sia la dinamica che ha causato questi moti supersonici, rimane da capire. Ci sono vari scenari che possono essere esplorati, ma da qui possiamo dire chiaramente che le due galassie hanno interagito».

E la domanda, a questo punto, sorge spontanea: quanto è unico questo caso? Radiogalassie come questa non sono oggetti rari all’interno degli ammassi, e grazie alla finestra sulla bassa frequenza (intorno a 100 MHz) aperta da Lofar se ne stanno scoprendo sempre di più. Verrebbe da pensare, quindi, che in una survey come Gasp, che indaga un ambiente – gli ammassi di galassie appunto – preferenziale sia per le galassie ram pressure stripped (e medusa) che per le radiogalassie, la probabilità di inciampare in altri casi simili non sia trascurabile. Di fatto, però, ci troviamo in ambienti così estesi e massicci che, finora, questo caso è il primo e l’unico.

«Una volta avevo provato a fare un conticino probabilistico», racconta Ignesti, «ed era risultato che la probabilità che si verifichi una situazione come questa – ovvero che una galassia attraversi il lobo di una radiogalassia – è inferiore a quella di vincere al superenalotto. Ci sono una manciata di casi simili in letteratura, che riportano l’interazione fra una galassia e una radiogalassia, ma nessuno mostra le caratteristiche di questo caso».

D’altra parte, lo dicevamo, la galassia medusa non mostrava segni che lasciassero intuire un’interazione di questo tipo. Dalle prime osservazioni con Muse, però, era chiaro che si trattasse di una galassia un po’ anomala, sia nella forma, perché il gas le era strato strappato quasi completamente, sia nell’orientamento, perché era difficile intuire quale fosse la direzione dello stripping dal momento che si trovavano piccole macchie di gas ionizzato in vari punti. Per di più, dall’analisi dello spettro delle stelle si trovava uno strano picco di formazione stellare circa 200-300 milioni di anni prima dell’epoca di osservazione.

«Grazie alle osservazioni radio abbiamo capito innanzitutto la direzione in cui si sta muovendo, perché la scia punta verso nordovest e quindi quasi sicuramente la galassia si sta spostando verso sudest», continua Ignesti, «e poi abbiamo visto che l’epoca a cui è avvenuto il picco di formazione stellare coincide sorprendentemente bene con il tempo necessario per attraversare il getto radio, segno che questo potrebbe aver perturbato il mezzo interstellare causando, appunto, la formazione di molte stelle in poco tempo».

Nei piani degli autori, ora, c’è studiare la geometria del campo magnetico. Il fatto che ci sia un’emissione di sincrotrone, lo dicevamo prima, è indice della presenza di un campo magnetico che si estende lungo tutta la struttura delle radiogalassie. Gli autori pensano che l’origine della sottostruttura nel getto radio, generata dal passaggio di JO36, sia un fenomeno chiamato magnetic draping: succede quando l’oggetto che attraversa il campo magnetico è più veloce della velocità di Alfven nel plasma, e inizia a piegare il campo magnetico senza romperlo e “trascinandoselo” dietro. Se l’ipotesi è corretta, lo strascico dietro JO36 il campo magnetico dovrebbe essere ben allineato lungo il moto relativo fra getto e galassia. Per verificarlo, bisognerebbe osservare l’emissione polarizzata, che fornirebbe informazioni dirette sulla geometria del campo magnetico.

«Osservare l’emissione polarizzata con il MeerKat, ad esempio, è la nostra prossima scommessa. Non siamo che all’inizio, ma è proprio questo il bello di questa scoperta», conclude Ignesti. «Indagando oggetti come questo possiamo capire molto di più anche sulla fisica dei getti in generale, e possiamo testare i modelli teorici. Una delle domande aperte nello studio delle radiogalassie, infatti, riguarda la composizione effettiva dei getti relativistici, il loro comportamento e soprattutto la loro interazione con lo spazio circostante. Qui, abbiamo trovato un bellissimo banco sperimentale a cielo aperto per mettere alla prova la nostra conoscenza dell’astrofisica».

 

Fonte: Media INAF

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