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Più Ufo per tutti: rilevati in un Agn su tre

Si chiamano Ufo, ma gli alieni non c’entrano. Sono gli ultra-fast outflows: venti spaziali che emergono dai dintorni dei buchi neri supermassicci e spirano a velocità vicine a quella della luce. Un gruppo internazionale di ricerca ha esplorato questo fenomeno ancora poco compreso, andando alla caccia di queste emissioni di gas, fondamentali per capire i meccanismi che regolano il comportamento dei buchi neri supermassicci nella loro fase attiva.

Il progetto di ricerca si chiama Subways (Supermassive black hole winds in the X-rays) e i primi risultati sono stati pubblicati a fine febbraio in due paper su Astronomy & Astrophysics. Il primo di questi, in particolare, a guida di studiosi dell’Università di Bologna e dell’Istituto nazionale di astrofisica, si basa principalmente su dati ottenuti al telescopio spaziale Xmm-Newton dell’Esa.

Gli studiosi hanno analizzato 22 nuclei galattici attivi (Agn): le regioni che circondano i buchi neri supermassicci al centro delle galassie e che, quando i buchi neri sono in fase attiva, emettono enormi quantità di radiazioni su tutto lo spettro elettromagnetico. Dall’indagine è emerso che in circa il 30 per cento dei nuclei galattici attivi analizzati sono presenti venti spaziali che viaggiano a velocità tra il 10 e il 30 per cento della velocità della luce.

«Questi risultati ci permettono di stabilire con maggiore certezza che una parte rilevante dei nuclei galattici attivi ospita venti ultraveloci chiamati Ufo, ultra-fast outflows», spiega Marcella Brusa, professoressa dell’Università di Bologna e associata Inaf, e coordinatrice dell’intero progetto Subways. «E abbiamo potuto confermare che l’intensità di questi flussi di gas è sufficiente per cambiare in modo significativo l’ecosistema delle loro galassie».

Tra un buco nero supermassiccio e la galassia che lo circonda esiste infatti una stretta relazione che influenza in modo reciproco la loro formazione e la loro evoluzione. I meccanismi che animano questa relazione reciproca sono ancora poco compresi, ma tra gli ingredienti chiave potrebbero esserci proprio i venti ultraveloci emessi dai nuclei galattici attivi. Queste potenti emissioni nascono infatti quando parte del gas del disco di accrescimento viene espulso verso l’esterno, trasferendo così una parte della materia e dell’energia prodotta verso lo spazio interstellare: un meccanismo, questo, che ha importanti implicazioni per regolare il processo di formazione delle stelle.

«Parliamo di gas con composizione solare», aggiunge Giorgio Lanzuisi dell’Inaf, coautore dei due studi pubblicati su Astronomy & Astrophysics, quindi nuclei di idrogeno, elio e tutti gli altri elementi più pesanti, ma che essendo altamente ionizzato è osservabile solo nelle transizioni degli elementi più pesanti come il ferro». Per riuscire a rilevare gli Ufo vengono infatti analizzati in particolare gli spettri emessi nella banda dei raggi X, alla ricerca di assorbimenti prodotti dalla presenza di materiali altamente ionizzati quali, appunto, il ferro: un fenomeno dovuto alle temperature estreme – fino a decine di milioni di gradi – che si generano in prossimità dei buchi neri supermassicci. Con questo obiettivo, gli studiosi di Subways sono riusciti a ottenere 1,6 milioni di secondi di osservazione (più di diciotto giorni) con il telescopio spaziale per i raggi X dell’Esa Xmm-Newton. Hanno così esplorato 17 nuclei galattici attivi nell’universo relativamente vicino (tra circa 1,5 e 5 miliardi di anni luce di distanza), a cui hanno aggiunto i dati di altri 5 Agn, già raccolti in osservazioni precedenti.

«Queste osservazioni ci hanno permesso di ottenere nuove prove indipendenti dell’esistenza di materia altamente ionizzata che viene espulsa dalle regioni più interne dei nuclei galattici attivi a velocità vicine a quella della luce», dice Gabriele Matzeu, ricercatore all’Università di Bologna, associato Inaf e primo autore del paper che presenta i risultati sulla statistica degli Ufo. «Sono esiti che ci hanno permesso di conoscere più da vicino questi venti ultraveloci e di capire meglio il loro ruolo nel plasmare il processo di evoluzione delle galassie».

 

Fonte: Media INAF

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