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Nell’occhio di Webb, le minuscole stelle del Tucano

Gli ammassi globulari sono tra gli oggetti più affascinanti del cielo notturno e sono utilizzati dagli astronomi come laboratori per gli studi sull’evoluzione stellare. Nonostante la maggior parte delle stelle che li costituiscono siano deboli, i limiti imposti dalla strumentazione disponibile hanno a lungo confinato l’osservazione di questi oggetti a una porzione di massa relativamente piccola. Quindi, quello che sappiamo di questi antichi aggregati stellari costituisce de facto solo la punta dell’iceberg.

Come questi oggetti si siano formati agli albori dell’universo, quanto massicci fossero in origine, come abbiano formato popolazioni stellari diverse in composizione chimica, quali siano le proprietà delle stelle di massa più piccola e delle stelle “mancate” – cioè le nane brune – che non hanno acceso le reazioni nucleari, costituiscono tutte questioni irrisolte. Con l’avvento del James Webb Space Telescope (Jwst), lanciato con successo alla fine del 2021, le stelle meno luminose mai osservate in un ammasso globulare sono state finalmente rilevate dalle spettacolari immagini ottenute per 47 Tucanae. I risultati sono riportati in uno studio a guida Inaf in uscita su The Astrophysical Journal.

«Queste immagini incredibilmente profonde», dice Antonino Milone dell’Università di Padova, fra i coautori dello studio, «hanno rivelato le proprietà delle stelle di piccolissima massa, mostrando per la prima volta la sequenza delle nane brune: una scoperta di inestimabile valore per i modelli di evoluzione stellare e per l’analisi delle proprietà che marcano il “confine” tra le stelle e le nane brune».

In parallelo, grazie allo strumento NirSpec a bordo del Jwst, è stato possibile osservare le stelle più deboli per le quali sono disponibili dati spettroscopici in ammassi globulari. «Poiché gli spettri di stelle poco massive così fredde sono dominati da molecole di vapore acqueo, questi dati ci consentono di osservare acqua in stelle. Queste molecole sono ottimi indicatori del contenuto di ossigeno, rivelando che la variazione di abbondanza di questo elemento in stelle di piccola massa è simile a quella osservata in stelle di massa maggiore», spiega la prima autrice dello studio, Anna Fabiola Marino dell’Istituto nazionale di astrofisica.

«Questa scoperta è fondamentale per comprendere come si sono formati gli ammassi globulari nelle prime fasi di vita dell’universo. Il fatto che le stelle di massa più piccola mostrano le stesse variazioni chimiche delle stelle di massa maggiore suggerisce che le stelle con chimica peculiare osservate negli ammassi costituiscano una seconda generazione stellare», conclude Emanuele Dondoglio, giovane ricercatore postdoc dell’Istituto nazionale di astrofisica. «Questo implicherebbe una massa significativamente maggiore di quella che osserviamo oggi per questi fossili stellari, che potrebbero essere stati i mattoni che hanno costruito la Via Lattea».

 

Fonte: Media INAF

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