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Lap1, la regione più incontaminata dell’universo

Stelle di popolazione III, le chiamano gli astronomi. Sono oggetti pressoché mitologici, gli Adamo ed Eva degli astri: stelle primigenie, che non hanno mai avuto esperienza della morte, dunque incontaminate. Tutte le stelle di generazioni successive sono infatti nate, almeno in parte, dalle “ceneri” di quelle delle generazioni precedenti. Ceneri fatte di elementi sintetizzati durante la loro vita attraverso sequenze di processi di fusione nucleare, avanzando man mano, come in un gioco dell’oca, lungo le caselle della tavola periodica: le caselle dei “metalli”, etichetta che gli astrofisici appiccicano senza andar troppo per il sottile a qualunque elemento più pesante di idrogeno ed elio. Le stelle di popolazione III invece no: non avendo progenitrici, non essendosi sporcate con le vestigia degli avi, non sono fatte d’altro che idrogeno ed elio, appunto – e al massimo una spolverata di litio. Trovarle è il sogno, finora irrealizzato, di generazioni di astronomi. Ora un team guidato da Eros Vanzella e Federica Loiacono dell’Istituto nazionale di astrofisica ritiene di aver individuato un gruppo di stelle che forse potrebbe ospitarne qualcuno, di questi astri illibati.

Il nome del promettente gruppo di stelle è Lap1, acronimo per Lensed and pristine 1Uno perché è il primo del genere mai individuato. Pristine perché, come abbiamo detto, pare incontaminato, o quantomeno è la regione di formazione stellare più povera di metalli a oggi conosciuta nell’era della reionizzazione. E lensed perché è stato possibile studiarlo in dettaglio solo attraverso una lente gravitazionale. Lente gentilmente fornita da un ammasso di galassie, di nome Macs J0416, posizionato esattamente fra quelle lontane stelle e noi, così da amplificarne l’immagine attraverso una provvidenziale distorsione – come previsto dalla teoria della relatività generale – del percorso della luce sul tessuto dello spaziotempo.

Se la lente l’ha fornita la natura, il resto questa volta ce l’ha messo il James Webb Space Telescope. Quella remota regione d’universo era infatti già stata studiata in precedenza, anche da un team guidato dallo stesso Vanzella, con il Very Large Telescope e con Hubble. Ma solo le eccezionali capacità di Jwst hanno consentito di apprezzarne appieno la “purezza”.

«Quando il comitato di valutazione della nostra proposta osservativa con Jwst l’aveva valutata fra i primi programmi short, ritenendola high-risk-high-gain, onestamente pensavo che non avremmo visto nulla», ricorda ora Vanzella. «Invece sono rimasto sbalordito: lo spettrografo NirSpec di Jwst ha consentito una copertura dello spettro elettromagnetico maggiore rispetto alle osservazioni precedenti, permettendoci di monitorare tutte le righe atomiche più rilevanti. E con nostra sorpresa abbiamo osservato un deficit pazzesco di metalli: vediamo solo righe di Balmer e un po’ di ossigeno ionizzato. Certo, va detto che al momento non esiste un’immagine di Lap1: è troppo debole anche per i dati dell’imager NirCam di Jwst attualmente disponibili. Nonostante ciò, vediamo almeno cinque righe atomiche».

«Ora sappiamo che esistono sistemi a bassissimo contenuto di elementi più pesanti di quelli primordiali», conclude Vanzella, «e questo significa che la scoperta delle prime stelle potrebbe giungere in un tempo non molto lontano. Lap1 potenzialmente potrebbe già contenerle. E non è finita: già sono state allocate nuove osservazioni sempre con Jwst».

 

Fonte: Media INAF

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