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In due alla scoperta dei segreti della corona solare

Grazie all’intuizione del team di missione della sonda Esa/Nasa Solar Orbiter e a un’accurata sequenza di manovre in volo per sfruttare il concomitante supporto osservativo di Parker Solar Probe, un altro veicolo spaziale destinato allo studio del Sole, sono state realizzate per la prima volta in assoluto misure simultanee della struttura a grande scala della corona solare e delle sue proprietà cinetiche e microfisiche. I risultati dello studio, pubblicati oggi in un articolo sulla rivista The Astrophysical Journal Letters e ottenuti da un team internazionale a guida Inaf a cui partecipano anche ricercatori dell’Università di Firenze, dell’Agenzia spaziale italiana e del Consiglio nazionale delle ricerche, indicano che i fenomeni di turbolenza siano i principali responsabili del riscaldamento della corona solare alle temperature osservate, gettando così nuova luce su un enigma cosmico che dura ormai da parecchi decenni.

L’atmosfera del Sole è chiamata corona. È costituita da un gas elettricamente carico – il cosiddetto plasma – e ha una temperatura di circa un milione di gradi Celsius. La sua temperatura è un mistero per gli scienziati perché la superficie del Sole è di “appena” 6000 gradi. La corona dovrebbe essere più fredda della superficie perché l’energia del Sole proviene dalle reazioni di fusione nucleare che avvengono nelle sue regioni centrali e la temperatura diminuisce progressivamente via via che ci si allontana da esse. Eppure la corona è più di 150 volte più calda della superficie. Deve esserci un altro metodo per trasferire l’energia nel plasma, ma quale?

Da tempo si sospetta che la turbolenza nell’atmosfera solare possa provocare un riscaldamento significativo del plasma nella corona. Ma quando si tratta di studiare questo fenomeno, i fisici solari si scontrano con un problema pratico: è impossibile raccogliere tutti i dati necessari con un solo veicolo spaziale. Per avere un quadro completo, sono intanto necessari almeno due veicoli spaziali. Oggi, questa prima richiesta è soddisfatta grazie a Solar Orbiter e alla sonda Parker Solar Probe della Nasa. Solar Orbiter è stato progettato per avvicinarsi il più possibile al Sole ed eseguire operazioni di telerilevamento e misurazioni in situ. Parker Solar Probe rinuncia in gran parte al telerilevamento per avvicinarsi ancora di più alla nostra stella, realizzando misurazioni in situ.

Ma per sfruttare appieno le loro caratteristiche complementari, i due veicoli spaziali devono utilizzare i loro strumenti simultaneamente e Parker Solar Probe deve trovarsi nel campo visivo di uno degli strumenti di Solar Orbiter. In questa configurazione, Solar Orbiter può registrare le conseguenze su larga scala di ciò che Parker Solar Probe sta misurando in loco.

Daniele Telloni, ricercatore dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) a Torino, fa parte del team scientifico dello strumento Metis a bordo di Solar Orbiter. Metis è un coronografo progettato dall’Inaf, Università di Firenze, Università di Padova, Cnr-Ifn, e realizzato dall’Agenzia spaziale italiana con la collaborazione dell’industria italiana, che riesce a bloccare la luce proveniente dalla superficie del Sole e fotografa con elevato contrasto e livello di dettaglio la corona. Metis insomma è lo strumento perfetto da utilizzare per le misurazioni su larga scala delle regioni più esterne dell’atmosfera solare. Così, Telloni e il suo team hanno iniziato a cercare date e orari in cui Parker Solar Probe si sarebbe trovato nella giusta posizione per realizzare osservazioni congiunte con Solar Orbiter, scoprendo che questo sarebbe avvenuto il 1 giugno 2022. Rimaneva però ancora un problema da superare: pur trovandosi nella giusta posizione reciproca la sonda Parker Solar Probe sarebbe comunque rimasta appena fuori del campo di vista di Metis, vanificando così la fortunata configurazione orbitale.

Da ulteriori analisi, Telloni si è reso conto che per risolvere il problema era necessario impartire delle correzioni nell’assetto di Solar Orbiter, ovvero una rotazione di 45 gradi e poi un puntamento leggermente disassato rispetto al Sole. Manovre queste, seppur apparentemente semplici, che hanno allertato il team operativo del veicolo spaziale, per il rischio di un possibile danneggiamento causato da una diversa esposizione alle radiazioni solari della strumentazione del veicolo spaziale. Tuttavia, una volta chiarito il potenziale ritorno scientifico della manovra, il via libera è arrivato con grande convinzione.

Tutte le procedure sono state quindi eseguite alla perfezione, le due sonde si sono trovate nella configurazione prevista ed è stato così possibile effettuare le prime misurazioni simultanee della configurazione su larga scala della corona solare e delle proprietà microfisiche del plasma che lo compone.

«Questo lavoro è il risultato del contributo di moltissime persone e per coordinarlo servivano competenze sia sull’ambiente coronale che eliosferico», ricorda Telloni. «Io ho avuto la fortuna e il privilegio di avere come mentori due giganti della fisica coronale e dello spazio interplanetario, Ester Antonucci e Roberto Bruno, rispettivamente, entrambi dell’Inaf».

Confrontando i dati misurati con le previsioni teoriche sviluppate nel corso degli anni, il team ha dimostrato che i fisici solari avevano quasi certamente ragione nell’identificare la turbolenza come un modo efficiente per trasferire energia dalla superficie del Sole agli strati più esterni della sua atmosfera.

«Questo è solo l’ultimo di una serie di importanti risultati ottenuti grazie ai dati acquisiti da Metis e dimostra quanto sia utile poter combinare dati simultanei di remote sensing e misure in situ del vento solare, consentendo di studiare processi fisici come quelli legati al riscaldamento coronale su tutte le scale spaziali di interesse», dice Marco Stangalini, ricercatore e responsabile di programma Asi della missione Solar Orbiter.

Il modo specifico in cui la turbolenza agisce è non dissimile da quello che accade quando si mescola il caffè in una tazza. Stimolando i movimenti casuali di un fluido, sia esso un gas o un liquido, l’energia viene trasferita su scale sempre più piccole, arrivando a trasformarsi in calore. Nel caso della corona solare, il fluido che la compone è anche magnetizzato e quindi l’energia magnetica immagazzinata è disponibile per essere convertita in calore. Questo trasferimento di energia magnetica e cinetica da scale più grandi a scale più piccole è l’essenza stessa della turbolenza. Alle scale più piccole, permette alle fluttuazioni di interagire con le particelle elementari, soprattutto protoni, e di riscaldarle. Saranno ancora necessarie ulteriori indagini prima di poter affermare che l’enigma del riscaldamento solare è risolto, ma ora, grazie al lavoro del team di Telloni, i fisici solari hanno a disposizione la prima misura di questo processo.

 

Fonte: Media INAF

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