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Euclid nell’universo delle meraviglie

Il telescopio spaziale Euclid, lanciato lo scorso primo luglio, osserverà miliardi di galassie, andando a ritroso nella storia dell’universo fino a dieci miliardi di anni fa. Tante e tanto lontane sono necessarie per sviscerare i misteri dell’accelerazione cosmica, ovvero perché l’espansione dell’universo, da qualche miliardo di anni a questa parte, procede a ritmo sempre più sostenuto. Un problema che affligge la cosmologia da quasi un quarto di secolo. Ma prima di cimentarsi con cotanta sfida, come chi si prepara a correre un giorno la maratona, il più recente occhio spaziale aggiuntosi alla flotta dell’Agenzia spaziale europea ha cominciato ad allenarsi vicino casa.

L’oggetto più distante, tra i cinque immortalati nelle prime immagini di Euclid, è l’ammasso di galassie del Perseo, a ben 240 milioni di anni luce da noi. Una distanza di tutto rispetto – la luce delle sue galassie è partita quando sulla Terra erano da poco apparsi i dinosauri – che però impallidisce dinanzi ai miliardi di anni luce da cui si affacciano gli oggetti più lontani, che fanno timidamente capolino sullo sfondo. L’immagine, oltre a un migliaio di galassie appartenenti all’ammasso, mostra infatti più di centomila galassie ancora più distanti, molte delle quali non erano mai state osservate prima d’ora.

«Vogliamo osservare le galassie estremamente deboli e piccole, chiamate galassie nane», commenta Jean-Charles Cuillandre, ricercatore della collaborazione Euclid presso il Cea Paris-Saclay, in Francia. «Sono dominate da stelle più vecchie che brillano in luce infrarossa. Secondo le simulazioni cosmologiche, l’universo dovrebbe contenere molte più galassie nane di quante ne abbiamo trovate finora. Con Euclid saremo in grado di vederle, se davvero esistono in un numero così elevato come previsto».

Tra gli obiettivi di Euclid, mappare la distribuzione e la forma di un grandissimo numero di galassie permetterà di comprendere come la materia oscura, di cui si percepisce solo l’effetto indiretto su ciò che vediamo, ha modellato il cosmo che osserviamo oggi. Nel corso di miliardi d’anni, sotto l’attrazione della gravità, la materia oscura ha formato strutture filamentose, dando origine alla cosiddetta ragnatela cosmica che permea l’universo, nei cui nodi più densi si trovano gli ammassi di galassie come quello del Perseo. «Se non esistesse la materia oscura, le galassie sarebbero distribuite uniformemente in tutto l’universo», aggiunge Cuillandre.

La luce delle galassie lontane porta i segni di tutto ciò che ha incontrato sul suo cammino, compresa la materia oscura, che distorce la forma di queste galassie: è l’effetto di lente gravitazionale debole. Euclid osserverà molti ammassi di galassie come questo, scandagliando una porzione di cielo grande trentamila volte questa immagine, e fornendo così una visione 3D della distribuzione di materia oscura nell’universo. L’evoluzione di questa mappa lungo la storia del cosmo contiene importanti indizi anche sull’energia oscura, uno dei principali sospettati dietro l’espansione accelerata dell’universo.

Tripudio di galassie

Più vicino a casa, a “soli” undici milioni di anni luce da noi, Euclid ha ripreso una splendida galassia a spirale. Gli esperti la chiamano Ic 342 o Caldwell 5, ma il suo soprannome è “la galassia nascosta” in quanto, a causa della sua posizione nel cielo, è quasi del tutto oscurata dalla polvere della nostra galassia, la Via Lattea, e si può osservare solo nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso. Euclid non è il primo telescopio spaziale ad averla osservata: anche Hubble ne aveva fotografato il suo nucleo, ma finora era impossibile studiare la storia della formazione stellare dell’intera galassia.

«Questo è l’aspetto geniale delle immagini di Euclid. In un solo scatto, può vedere l’intera galassia in tutti i suoi meravigliosi dettagli», spiega Leslie Hunt, ricercatrice dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) a Firenze. «Questa immagine potrebbe sembrare normale, come se ogni telescopio potesse realizzare un’immagine del genere, ma non è vero. La particolarità è che abbiamo un’ampia visuale che copre l’intera galassia, ma possiamo anche ingrandire per distinguere singole stelle e ammassi stellari. Ciò rende possibile tracciare la storia della formazione stellare e comprendere meglio come le stelle si sono formate e si sono evolute nel corso della vita della galassia».

La spirale Ic 342 somiglia alla Via Lattea, ma non alla maggior parte delle galassie dell’universo, che sono piccole e di forma irregolare. È da queste galassie nane che le galassie più grandi, come la nostra, hanno preso forma. Euclid ne ha già fotografata una: la galassia nana irregolare Ngc 6822 che, ad “appena” 1,6 milioni di anni luce dalla Terra, appartiene al Gruppo Locale, l’ammasso di galassie a cui appartiene la Via Lattea.

Scoperta per la prima volta nel 1884 e identificata come un “sistema stellare remoto” da Edwin Hubble nel 1925, questa galassia è stata ripresa molte volte, recentemente anche dal telescopio spaziale Jwst. Eppure questa è la prima immagine ad alta risoluzione dell’intera galassia, realizzata da Euclid in una sola ora di osservazione. «Studiando le galassie a bassa metallicità [ovvero che contengono piccole quantità di elementi più pesanti dell’idrogeno e dell’elio, ndr] come Ngc 6822 nel nostro vicinato galattico, possiamo scoprire come le galassie si sono evolute nell’universo primordiale», aggiunge Hunt.

Sempre più piccoli, sempre più vicino

Euclid non scherza nemmeno nel nostro “vicinato cosmico”: la scintillante immagine dell’ammasso globulare Ngc 6397, a circa 7800 anni luce dalla Terra, è la prima a racchiudere in un solo “scatto” il nucleo e le regioni esterne di questo agglomerato che raggruppa centinaia di migliaia di stelle. Gli ammassi globulari sono tra gli oggetti più antichi dell’universo, e per questo conservano memoria della storia di formazione stellare delle galassie che li ospitano.

Ngc 6397, che si trova nel disco della Via Lattea, è il secondo ammasso globulare più vicino a noi. «Attualmente nessun altro telescopio oltre a Euclid può osservare l’intero ammasso globulare e allo stesso tempo distinguere i suoi deboli membri stellari nelle regioni esterne da altre sorgenti cosmiche», spiega Davide Massari, ricercatore Inaf a Bologna. Poiché il nucleo di un ammasso globulare contiene tantissime stelle, le più luminose tendono a oscurare quelle più deboli, di piccola massa. Ma sono proprio queste stelle a racchiudere i segreti delle precedenti interazioni dell’ammasso con la Via Lattea, lasciando talvolta delle scie – dette “code mareali” che si estendono ben oltre l’ammasso. «Ci aspettiamo che tutti gli ammassi globulari della Via Lattea ne abbiano, ma finora ne abbiamo viste solo poche», aggiunge Massari.

«Se non ci sono code mareali, allora potrebbe esserci un alone di materia oscura attorno all’ammasso globulare, che impedisce alle stelle esterne di fuggire. Ma non ci aspettiamo aloni di materia oscura attorno a oggetti su scala più piccola come gli ammassi globulari, ma solo attorno a strutture più grandi come le galassie nane o la stessa Via Lattea». Se invece le osservazioni di Euclid riveleranno code mareali negli ammassi globulari come Ngc 6397, sarebbe possibile calcolare in modo molto preciso il modo in cui questi agglomerati stellari orbitano attorno alla nostra galassia. «E questo ci dirà come è distribuita la materia oscura nella Via Lattea».

Ancora più vicino a casa – siamo a circa 1375 anni luce di distanza – Euclid ha rivisitato un’icona della fotografia astronomica: la Nebulosa Testa di Cavallo. Scoperta nel 1888 da Williamina Fleming ispezionando a occhio nudo le lastre fotografiche dell’Osservatorio di Harvard, questa nube scura dalla forma inconfondibile si nasconde tra il gas e la polvere della nube molecolare di Orione, non lontano dalla stella Alnitak, una delle tre che formano la “cintura” del cacciatore mitologico nella famosa costellazione.

Anche in questo caso, la nuova immagine di Euclid sbalordisce per la visione nitida su un campo così vasto, realizzata peraltro con una sola osservazione di circa un’ora. Tra le spesse coltri di polvere cosmica, prendono forma nuove stelle e, con loro, anche sistemi planetari. «Siamo particolarmente interessati a questa regione, perché la formazione stellare avviene in condizioni molto speciali», spiega Eduardo Martín Guerrero de Escalante dell’Instituto de Astrofisica de Canarias a Tenerife.

La nebulosa è infatti illuminata dall’intensa radiazione proveniente da Sigma Orionis, una stella molto luminosa che si trova sopra la Testa di Cavallo, appena fuori dall’immagine. La stessa Sigma Orionis appartiene a un ammasso contenente più di cento stelle, di cui la missione Gaia ha già rivelato molti nuovi membri, «ma in questa immagine di Euclid», nota Martín, «vediamo già nuovi candidati tra stelle, nane brune e oggetti di massa planetaria, quindi speriamo che Euclid ci fornisca un quadro più completo».

Siamo quasi a casa. E anche qui, in questo vivaio stellare della Via Lattea, fa bella mostra di sé il cosmo più profondo. Distanti galassie dalle forme disparate si intravedono sullo sfondo, oltre il sipario della nebulosa, specialmente nella parte più alta dell’immagine. I risultati di questo “allenamento cosmico” promettono bene. Pur dopo un inizio turbolento, Euclid sembra a tutti gli effetti pronto per la maratona: “catturare” miliardi di galassie vicine e lontane, misurare le loro proprietà e la loro tendenza ad aggregarsi, e affrontare finalmente i segreti dell’universo oscuro.

 

Fonte: Media INAF

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