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Culle e tombe di stelle, le più lontane mai viste

From the cradle to the grave, dalla culla alla tomba, cantavano gli U2 nella loro “All I want is you”. Tanto desiderio e curiosità avranno animato anche gli scienziati che, dopo svariati tentativi, sono finalmente riusciti a catturare, per la prima in modo molto dettagliato, i segreti della vita e della morte delle stelle nell’universo primordiale.

La ricerca, pubblicata il mese scorso su The Astrophysical Journal dal team internazionale guidato da Yoichi Tamura, professore alla Nagoya University, e Takuya Hashimoto, del Dipartimento di scienze pure e applicate all’Università di Tsukuba, entrambe in Giappone, presenta le osservazioni di giovani galassie – appena 600 milioni di anni dopo il Big Bang – a una risoluzione senza precedenti grazie ad Alma, l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, in Cile. Situato a 5000 metri d’altitudine nel deserto di Atacama, il radiotelescopio Alma ha permesso di distinguere i siti di formazione delle stelle, nonché un possibile sito di “morte stellare”, in una nebulosa oscura della galassia Macs0416_Y1, nella costellazione di Eridano, distante 13,2 miliardi di anni luce da noi. Si tratta della più lontana osservazione di strutture di questo tipo mai effettuata prima d’ora.

Le nebulose oscure – dette anche nubi molecolari – sono aggregati di resti stellari fatti di polvere e gas freddi: osservare in dettaglio cosa avviene all’interno di queste nebulose, vuol dire studiare come nascono e muoiono le stelle. Al momento della loro “nascita”, le stelle sottraggono gli elettroni dal gas circostante e lo ionizzano grazie alle alte temperature, formando così una nebulosa diffusa a emissione, una nube interstellare di gas ionizzato che emette luce di vari colori.

Analizzando la distribuzione di polvere e ossigeno con la massima precisione possibile, si ottengono indizi per capire come si formano le stelle nelle nebulose oscure, come si formano le nebulose diffuse e come nascono le galassie. Precedenti osservazioni della galassia Macs0416_Y1 condotte dallo stesso gruppo di ricerca avevano già rilevato onde radio emesse sia dall’ossigeno che dalla polvere intuendone l’origine, rispettivamente, nelle nebulose oscure e in quelle diffuse. Ma questa volta, per carpire i segreti dell’universo primordiale, il team ha cercato di mettere più a “fuoco l’obiettivo”, ingrandendo Macs0416_Y e prolungando l’osservazione fino a 28 ore. Le 66 antenne di Alma, posizionate nel mezzo del deserto cileno e funzionanti in modalità interferometrica, in modo da ottenere una risoluzione equivalente a quella di un telescopio di 3,4 chilometri di diametro, hanno consentito una risoluzione molto elevata e una sensibilità mai raggiunta prima d’ora su una galassia così lontana, consentendo ai ricercatori di distinguere finalmente tra le due sorgenti di onde radio.

I risultati mostrano che le regioni di segnale della polvere e le regioni di emissione dell’ossigeno sono intricate e si “evitano” a vicenda, suggerendo il processo in cui le stelle appena formate all’interno delle nebulose ionizzano il gas circostante. Inoltre, il team ha individuato un’enorme cavità che si estende per circa milla anni luce nelle regioni dominate dalla polvere. Quando molte nuove stelle massicce e di breve durata nascono insieme, le esplosioni successive di supernova creano enormi “superbolle” nelle nebulose. Precedenti studi hanno dimostrato che Macs0416_Y1 ha prodotto stelle negli ultimi milioni di anni a una velocità circa cento volte superiore a quella della Via Lattea. È possibile che queste stelle siano nate come un enorme gruppo (ammasso stellare) e siano morte in un’esplosione di supernova di breve durata una dopo l’altra, creando con l’impatto un’enorme “superbolla” vuota. La cavità scoperta, secondo gli scienziati, potrebbe effettivamente essere una “superbolla” di questo tipo, che alla fine potrebbe scoppiare disperdendo gas e detriti stellari all’interno della galassia e nel vasto spazio al di fuori di essa. Questi elementi e la polvere, non solo diventano materiali per la prossima generazione di stelle e pianeti man mano che vengono reintrodotti nelle nebulose oscure, ma trasformano anche la composizione chimica delle galassie e dei loro ammassi.

«In futuro, si potranno ottenere informazioni più dettagliate grazie a osservazioni ad alta risoluzione di questi ammassi stellari, utilizzando strumenti come il telescopio spaziale James Webb e il futuro Extremely Large Telescope», dice Tamura, responsabile del team, molto soddisfatto per le tecnologie impiegate e le prestazioni osservative ottenute con Alma. In generale, infatti, l’aumento della risoluzione – a parità di tempo d’osservazione – va a scapito della sensibilità. In questo caso, invece, la capacità di Alma di ottenere contemporaneamente alta risoluzione e alta sensibilità ha consentito di osservare un oggetto molto debole a ben 13,2 miliardi di anni luce di distanza. «È come osservare da Tokyo la debolissima luce prodotta da due lucciole situate a 3 centimetri di distanza l’una dall’altra sulla cima del Monte Fuji», spiega con entusiasmo Hashimoto, «e riuscire a distinguere la luce di ciascuna delle due lucciole».

 

Fonte: Media INAF

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