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Brillamenti di stelle zombie

L’alba delle stelle morte viventi: se fosse stato un astronomo, Dylan Dog avrebbe commentato così quanto è accaduto. Dopo essere esploso in supernova, un corpo stellare inattivo ha ricominciato a brillare, più volte, per diversi mesi. Lasciando di stucco chi stava osservando la “morte esplosiva” della stella. Qualcosa, insomma, che gli astronomi non avevano mai visto prima d’ora.

In generale, quando una stella di grande massa, giunta alla fine della sua esistenza, esplode come supernova, per qualche giorno supera in luminosità tutte le altre stelle della propria galassia, poi però si oscura rapidamente dissolvendosi in cielo, e tutto ciò che rimane è un piccolo oggetto di elevata densità, circondato da una nube di gas bollenti in espansione – una stella di neutroni o, se la stella di partenza aveva una massa almeno 25 volte superiore a quella del Sole, un buco nero.

Nel caso di cui stiamo parlando, invece, lampi brevi e luminosi, della durata di pochi minuti ma potenti come l’esplosione originale, hanno continuato a fare la loro comparsa – a circa un miliardo di anni luce dalla Terra, sotto gli occhi di un team internazionale di ricerca guidato dalla Cornell University (Stati Uniti) – all’indomani di un raro tipo di cataclisma stellare: un cosiddetto transiente ottico blu veloce (dall’inglese luminous fast and blue optical transient, in breve Lfbot). Si tratta di un particolare tipo di evento astronomico transiente del quale i ricercatori stanno tentando di capire la natura, e che può portare a esplosioni estreme, anche più luminose delle supernove. Flares che raggiungono rapidamente anche i 40mila gradi, emettendo appunto una “luce blu”, ma che svaniscono  altrettanto rapidamente. Questi Lfbot si “accendono”, infatti, in soli tre o quattro giorni, e svaniscono molto più velocemente delle supernove, impiegando giorni invece che settimane.

Il primo Lfbot, scoperto nel 2018, è stato At 2018cow (At come Astronomical Transient, soprannominato “The Cow”, la mucca, dalla sequenza di lettere e numeri assegnata automaticamente): una potentissima esplosione stellare, da 10 a 100 volte più luminosa di una normale supernova, avvenuta nella galassia Cgcg 137-068 della costellazione di Ercole, distante circa 200 milioni di anni luce da noi. “La mucca” non è l’unico animale, tra la mezza dozzina di transienti ottici blu scoperti finora. A fargli compagnia c’è anche Ztf 18abvkwla, detto “il Koala”. E anche il protagonista dello studio condotto dalla Cornell University, pubblicato ieri su Nature, al nome ufficiale – At 2022tsd – affianca un soprannome zoologico: the Tasmanian devil, “il diavolo della Tasmania”.

«La scoperta di questa nuova classe di fenomeni extragalattici è abbastanza recente», dice a Media Inaf Francesca Onori, assegnista di ricerca all’Inaf d’Abruzzo e co-autrice dello studio. «Sono stati pochissimi gli eventi scoperti in tempo per poterli monitorare accuratamente e ottenere maggiori informazioni sulla loro natura. AT 2022tsd è soltanto il terzo Lfbot per il quale è stato possibile eseguire un’intensa campagna di monitoraggio in multibanda entro il primo mese dalla scoperta. Il risultato eccezionale ottenuto sottolinea ancora di più l’importanza di un’efficiente strategia osservativa».

Secondo i ricercatori, i “resti” stellari sarebbero stati fonte di ripetuti brillamenti energetici, osservati nei mesi successivi, cento giorni dopo la morte della stella originale. Diversi transienti, simili tra loro, hanno mostrato indizi della presenza di una fonte di energia incorporata, con emissione ultravioletta prolungata, una timida oscillazione quasi periodica di raggi X e grandi energie accoppiate a ejecta veloci ma sub-relativistici di onde radio. Il team di ricerca ritiene che l’attività di brillamento precedentemente sconosciuta e, per la prima volta, osservata in contemporanea da 15 telescopi in tutto il mondo, abbia avuto come “motore” d’innesco dello spettacolare brillamento, un “cadavere stellare” come un buco nero o una stella di neutroni.

«Non crediamo ci sia qualcos’altro in grado di produrre questo tipo di bagliori», spiega la prima autrice dello studio, Anna Y. Q. Ho, astronoma alla Cornell University. «Questa ipotesi risolverebbe anni di dibattiti su ciò che alimenta questo tipo di esplosioni e rivelerebbe un metodo insolitamente diretto per studiare l’attività dei corpi stellari».

Ho è anche l’autrice del software che ha segnalato l’evento AT 2022tsd. Da settembre dell’anno scorso il suo programma ha iniziato ad analizzare circa mezzo milione di transienti, nell’ambito di una survey a tutto campo condotta dalla Zwicky Transient Facility che, dalla California, perlustra ogni giorno la volta celeste, nelle lunghezze d’onda visibili e infrarosse, alla ricerca di oggetti transitori che cambiano rapidamente di luminosità. Qualche mese dopo l’avvio del monitoraggio di routine dell’esplosione stellare, Ho e i suoi collaboratori Daniel Perley (Liverpool John Moores University, Regno Unito) e Ping Chen (Weizmann Institute of Science, Israele) si sono incontrati per esaminare i nuovi dati: una serie di cinque immagini, ognuna delle quali della durata di diversi minuti. La prima non mostrava nulla, come ci si aspettava, ma la seconda ha rilevato la luce, seguita da un picco intensamente luminoso nel fotogramma centrale, picco poi rapidamente scomparso. «Eravamo senza parole», ricorda Ho. «Non avevamo mai visto nulla di simile. Nessuna supernova o Fbot che fossero così veloci e luminosi tanto quanto l’esplosione originale avvenuta mesi prima».

Per indagare ulteriormente sulla brusca “riaccensione della stella cadavere”, 70 ricercatori in vari paesi hanno esaminato i dati e lavorato per escludere altre possibili fonti d’energia. La loro analisi, alla fine, ha confermato almeno 14 impulsi di luce irregolari in un periodo di 120 giorni; probabilmente solo una frazione del numero totale, secondo Ho. «Sorprendentemente, invece di affievolirsi in modo graduale e costante, come ci si aspetterebbe, la sorgente si è illuminata rapidamente di nuovo, e ancora, e poi ancora», dice Ho. «I Lfbot sono già un evento strano ed esotico di per sé, ma quanto avvenuto è ancora più strano».

Quali siano esattamente i processi in atto – forse un buco nero che incanala getti di materiale stellare verso l’esterno a una velocità prossima a quella della luce – è ancora da stabilire, ma gli autori sperano che le future ricerche possano aiutare a comprendere le proprietà delle stelle in vita per poi prevedere anche il modo in cui moriranno e il tipo di “cadavere” che lasceranno.

«Diversi scenari sono stati proposti per spiegare l’origine e i meccanismi fisici alla base di queste  emissioni così luminose e, allo stesso tempo, così brevi», dice Onori. «Potrebbero derivare dal collasso stellare di una stella supergigante, dalla fusione e la distruzione mareale di una stella da parte di un oggetto compatto o di una nana bianca da parte di un buco nero di massa intermedia».

«Nel caso dei Lfbot, una rapida rotazione o un forte campo magnetico sono probabilmente componenti chiave dei loro meccanismi di emissione del raggio luminoso», aggiunge Ho, secondo la quale è anche possibile che non si tratti di supernove convenzionali, ma di supernove innescate dalla fusione di una stella con un buco nero.

Gli autori dello studio sono arrivati alla conclusione che tali brillamenti possano essere stati originati dall’emissione di un getto quasi relativistico generato nel disco di accrescimento attorno a un oggetto compatto, ad esempio, una stella di neutroni appena nata, un buco nero stellare appena formatosi oppure un buco nero di massa intermedia.

«Un possibile scenario, intrigante ma anche compatibile con tutte le nostre osservazioni», spiega Onori, «è quello che vede il collasso di una stella supergigante rossa rotante seguita dalla formazione di un oggetto compatto – un buco nero – e del disco di accrescimento tutt’intorno».

L’identificazione di questo tipo di sistemi è di fondamentale importanza per comprendere quali sono le condizioni che portano all’esplosione di una stella e quali sono i meccanismi alla base della formazione dei buchi neri.

«Il corpo stellare morto non è semplicemente seduto lì, immobile, ma è attivo e sta facendo cose che possiamo rilevare», conclude Ho.«Pensiamo che questi bagliori provengano dai cadaveri stellari appena formati e, se così fosse, avremmo la possibilità di studiarne le proprietà nello stesso momento in cui si formano».

Queste insolite esplosioni promettono, quindi, di fornire nuovi spunti di riflessione sui cicli vitali delle stelle, tipicamente osservati mettendo insieme le istantanee, scattate singolarmente nelle diverse fasi stellari – vita, esplosione, morte, resti – e non come parte di un unico sistema. Potrebbe essere come guardare un nuovo canale tv che manda in onda un intero filmato dedicato ai cataclismi cosmici. Magari un canale in cui le stelle zombie sono protagoniste della nuova stagione di The Walking Dead, questa volta, però, girata tra le galassie.

 

Fonte: Media INAF

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