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Alla ricerca del segnale gravitazionale perduto

Ogni anno, centinaia di migliaia di coppie di buchi neri si fondono in una danza cosmica che emette onde gravitazionali in ogni direzione. Dal 2015, grazie ai grandi interferometri a terra LigoVirgo e Kagra, siamo in grado di captare questi segnali: ne abbiamo osservati circa un centinaio, una frazione infinitesima di tutti questi eventi. Ma la maggior parte delle onde restano “indistinguibili”, sovrapposte e sommate tra loro, creando un segnale di fondo, piatto e diffuso, che gli scienziati chiamano “fondo stocastico di onde gravitazionali” (Sgwb, Stochastic Gravitational Wave Background). Una ricerca condotta dalla Sissa di Trieste, pubblicata a fine gennaio su The Astrophysical Journal, propone di utilizzare una costellazione di tre o quattro interferometri spaziali per mappare il fondo, andando a cercare le increspature in un mare piatto e quasi perfettamente omogeneo. È proprio in queste piccole fluttuazioni, che gli scienziati chiamano anisotropie, che si nascondono le informazioni per comprendere la distribuzione delle sorgenti di onde gravitazionali sulla più grande scala del cosmo.

Ricercatori e ricercatrici sono convinti che nei prossimi anni, grazie ai rilevatori di prossima generazione come l’Einstein Telescope e il Laser Interferometer Space Antenna (Lisa), sarà possibile misurare direttamente il fondo di onde gravitazionali. «La misurazione delle fluttuazioni in questo fondo, più correttamente chiamate anisotropie, continuerà però a essere estremamente difficile, vista l’altissima risoluzione angolare necessaria a individuarle e di cui gli strumenti di rilevamento attuale non dispongono», spiega Giulia Capurri, dottoranda alla Sissa e prima autrice dello studio.

Per superare questa ulteriore difficoltà, Capurri, sotto la supervisione di Carlo Baccigalupi e Andrea Lapi, ha ipotizzato l’esistenza di una “costellazione” di tre o quattro interferometri spaziali in orbita intorno al Sole, con una base lunga come la distanza Sole-Terra. All’aumentare della distanza tra gli interferometri, infatti, la loro capacità di distinguere le sorgenti di onde gravitazionali aumenta, migliorando la risoluzione angolare. «Una costellazione di interferometri spaziali in orbita in torno al Sole potrebbe consentirci di vedere le sottili fluttuazioni del segnale gravitazionale di fondo, permettendoci così di estrarre informazioni preziose sulla distribuzione di buchi neri, stelle di neutroni e tutte le altre sorgenti di onde gravitazionali nell’universo», precisa Capurri.

In seguito al successo della missione spaziale di test del progetto Lisa, si stanno attualmente sviluppando due proposte per la creazione di costellazioni di interferometri spaziali: uno europeo, il Big Bang Observatory (Bbo), e uno giapponese, Deci-hertz Interferometer Gravitational-wave Observatory (Decigo). «Questo lavoro è uno dei primi a fornire delle previsioni specifiche sulla misura del fondo stocastico di onde gravitazionali da parte di una costellazione di strumenti in orbita attorno al Sole e sarà cruciale, insieme ad altri simili che verranno pubblicati, per definire il design ottimale di questi futuri strumenti osservazionali che, sperabilmente, verranno costruiti e resi operativi nei prossimi decenni», conclude Carlo Baccigalupi, professore di cosmologia teorica alla Sissa.

Nell’era dell’astronomia multimessaggera iniziata con gli interferometri a terra come Ligo e Virgo, il fondo di onde gravitazionali potrebbe aprire la strada a una nuova comprensione dell’universo su larga scala, come già successo con il fondo cosmico a microonde.

 

Fonte: Media INAF

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