La scoperta di Nettuno

Urano e Nettuno sono i primi pianeti a essere stati scoperti dall’antichità e questa scoperta rappresenta una tappa fondamentale della ricerca astronomica perché segna il passaggio da un Sistema Solare che è ancora quello osservabile a occhio nudo, a uno in cui gli strumenti diventano protagonisti assoluti e imprescindibili del metodo di ricerca. L’esistenza di due nuovi pianeti allargava enormemente i limiti del Sistema Solare oltre la sfera nella quale anticamente si pensava si trovassero i cinque pianeti conosciuti (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno). Perdeva ogni mistero anche il numero di sette astri mobili in cielo, ottenuto aggiungendo ai cinque pianeti il Sole e la Luna e rimasto inalterato per la sostituzione copernicana della Terra all’astro maggiore.

In questo contesto non verrà trattata la scoperta di Urano in quanto da un certo punto di vista meno affascinante, anche se altresì importante, rispetto la scoperta di Nettuno. Solo per la cronaca, Urano fu ufficialmente scoperto la notte del 13 marzo 1781 dall’astronomo William Herschel. Ci vollero ancora alcuni mesi perché la scoperta fosse accettata universalmente da tutta la comunità scientifica.

Con il passare del tempo gli astronomi furono in grado di calcolare precisamente quale doveva essere l’orbita di Urano sulla base delle leggi del moto e della gravità scoperte rispettivamente da Johannes Kepler e Isaac Newton. Dopo la scoperta di Urano si era distrutto un tabù, quello dell’intoccabilità del numero dei pianeti. Dopo la scoperta si cercò infatti tra le osservazioni degli anni precedenti e si scoprì che il pianeta era stato osservato più volte e descritto come una debole stella. L’idea della stabilità aristotelica del numero dei pianeti era così radicata che a nessuno era mai venuto in mente di controllare i movimenti di questo debole oggetto sul medio periodo.

Nella prima metà dell’Ottocento la previsione della posizione dei pianeti e della Luna era giunta a un notevole grado di precisione, soprattutto per merito della Mécanique Céléste di Laplace e del metodo dei minimi quadrati di Karl Gauss. Le posizioni dell’ultimo pianeta del Sistema Solare, Urano, erano state tabulate nel 1821 da Alexis Bouvard e nel 1845 da suo nipote Eugène ma, al contrario degli altri corpi orbitanti, il pianeta sfuggiva a una previsione esatta delle orbite che risultasse valida per più di una decina d’anni. Nello stesso 1845, l’Académie des Sciences di Parigi affrontò il problema. Due le spiegazioni possibili: o la legge di gravitazione non agiva come sino allora stabilito e necessitava di un qualche termine correttivo, oppure era corretta e le incongruenze osservate erano causate dalla presenza perturbatrice di un ulteriore corpo massiccio facente parte del sistema Solare e non ancora scoperto.

Prendeva credito tra gli astronomi l’ipotesi che le anomalie osservate dipendessero dalle perturbazioni esercitate su Urano da un corpo incognito, situato oltre la sua traiettoria: già nel 1821 F.W. Bessel indicò, in una lettera a H. Olbers la possibilità che esistesse un ulteriore pianeta partendo dalle conseguenze matematiche dei calcoli sulle deviazioni dalle previsioni teoriche dell’orbita di Urano. Un suo giovane allievo, Flemin, cominciò ad affrontare con energia e competenza questo problema e sotto la direzione del grande astronomo lo avrebbe sicuramente risolto se una morte prematura non lo avesse rapito nel 1840.

Per calcolare gli errori dell’orbita effettiva di Urano rispetto a quella predetta teoricamente bisognava sottrarre gli effetti gravitazionali di Saturno e Giove. Le piccole irregolarità che rimanevano nel moto di Urano erano tutto quello che gli astronomi avevano in mano per determinare da quale direzione arrivasse la sorgente del disturbo, quanto distante fosse e quale massa avesse. Poiché si pensava che fosse un pianeta bisognava cercare un oggetto in movimento. Era però un problema molto difficile da risolvere, e addirittura alcuni matematici pensavano che fosse una questione irrisolvibile e nessuno ci cimentò con essa. Fortunatamente però due studiosi tentarono di risolverla, in modo indipendente uno dall’altro e senza che l’uno sapesse del lavoro dell’altro. Erano John Couch Adams e Urbain Jean Joseph Le Verrier.

Adams iniziò a lavorare al problema dopo essersi laureato a Cambridge nel 1843 e dopo aver letto una memoria sul problema scritta dal direttore dell’Osservatorio reale di Greenwich Gorge Biddel Airy. Come punto di partenza egli assunse l’idea che questo ipotetico pianeta dovesse distare 38,4 unità astronomiche, due volte la distanza di Urano; questo valore era molto vicino a quello calcolato dalla legge di Titius-Bode (una sequenza matematica che sembrava combaciare e addirittura predire le distanza dei pianeti dal Sole rilevatasi efficace in occasione della scoperta degli asteroidi). La soluzione che trovò Adams fu sottoposta ad Airy, ma quest’ultimo la ignorò perché pensava che il problema fosse matematicamente irrisolvibile. Nonostante ulteriori modifiche fornite dal matematico, la teoria non venne presa in considerazione.

In Francia Le Verrier, sotto la guida di François Arago direttore dell’osservatorio di Parigi, incominciò a lavorare sullo stesso problema nel giugno 1845 e presentò i risultati del suo studio all’Académie des Sciences di Parigi l’anno successivo. Rendendosi conto che i suoi colleghi francesi non avevano alcuna intenzione di cercare questo ipotetico pianeta, Le Verrier spedì i suoi dati ad Airy all’Osservatorio di Greewich. Airy stavolta si accorse che il lavoro di Adams era degno di essere portato avanti, ma non disse mai allo stesso Adams che anch’egli stava occupandosene e non gli parlò neanche del lavoro di Le Verrier, che era posteriore a quello dell’inglese di otto mesi. In Inghilterra la ricerca iniziò nel luglio del 1846 all’Osservatorio di Cambridge, ma J. Challis, l’astronomo incaricato, decise di ignorare la posizione fornita per il pianeta e condusse invece una ricerca a largo raggio, senza riuscire a trovare niente.

Il 31 agosto del 1846 Le Verrier presentò un secondo lavoro, più dettagliato, sulla posizione del pianeta, sulla sua massa e sui suoi elementi orbitali. Fu lodato per l’abilità matematica, ma nessuno si offrì di confermare le sue previsioni attraverso un’osservazione. Alla fine, frustrato, egli si rivolse a Johann Gottfried Galle, assistente all’Osservatorio di Berlino. Galle ricevette la lettera di Le Verrier il 23 settembre 1846; quella notte insieme a un suo studente laureato, Heinrich d’Arrest, puntò il telescopio verso la posizione indicata. Dopo neppure un’ora i due riuscirono a identificare l’ottavo pianeta in una posizione non molto distante da quella che i calcoli gli assegnavano. Un vero trionfo per la teoria matematica, Nettuno era stato scoperto!

Grande fu lo scandalo in Inghilterra, che era stata in possesso delle informazioni necessarie, ma aveva fallito. Le Verrier fu accreditato della scoperta visto che i tedeschi avevano trovato Nettuno tramite i suoi dati. Quando gli inglesi cercarono di rivendicare la paternità della scoperta, l’Académie des Sciences di Parigi insorse e ci fu un aspro scambio di battute. Alla fine la polemica si placò e quando fu chiaro il contributo di Adams, questi ricevette il giusto riconoscimento. Oggi Adams viene universalmente ritenuto accanto a Le Verrier il vero scopritore di Nettuno. Sta di fatto che le orbite calcolate in entrambi i casi erano piuttosto differenti da quanto risultò all’osservazione. Nettuno, come poi fu chiamato su proposta del Bureau des Longitudes parigino, distava dal Sole non 38,4 unità astronomiche ma sole 30. Oltre ad aver presa per buona, senza un reale motivo fisico, la regola di Titius-Bode, i due astronomi avevano ipotizzato una perturbazione costante da parte del nuovo pianeta su Urano, mentre questa agisce praticamente solo quando i due pianeti si trovano in congiunzione. Ma queste ombre sulla scoperta di Nettuno non diminuirono la sua importanza: pur con l’intervento di una buona dose di fortuna, essa può essere considerata il massimo trionfo della meccanica celeste del secolo scorso. Non solo tale dottrina aveva predetto l’esistenza di un altro corpo maggiore del Sistema Solare, ma era riuscita a dimostrare inequivocabilmente che le numerose anomalie osservate nei moti celesti non mettevano in crisi la legge di gravitazione universale che, appunto con la meccanica celeste, divenne il vero pilastro del cosmo.

La storia della scoperta di Nettuno è molto appassionante, ed è esemplare per comprendere sia l’importanza del metodo scientifico sia quella del fattore umano nello sviluppo degli avvenimenti. È da notare come in questa particolare occasione istituzioni diverse in Paesi differenti abbiano alla fine contribuito al risultato finale. Al successo del matematico francese Le Verrier e di quello inglese Adams si è sempre assegnato un notevole rilievo: è stata infatti la prima dimostrazione in astronomia del valore del connubio teoria-osservazione.

 

NOS Magazine numero 2 del 2005

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