Cepheus - Cefeo

Un Eroe valoroso, una principessa da salvare, un mostro marino da sconfiggere, una creatura alata, un re ed una regina bellissima stretti dall’angoscia.
Non stiamo parlando di un romanzo né di una fiction televisiva, anche se la narrazione lo meriterebbe.
Come sempre, in questo spazio ci dedichiamo alla passione per la volta celeste e quindi non poteva mancare la saga familiare più famosa del firmamento.
Ci sono infatti nel cielo ben 6 costellazioni legate tra di loro da una stessa narrazione del mito e con questo ed i prossimi articoli intendiamo presentarveli uno dopo l’altro. Chi mastica di astronomia avrà già capito che stiamo per addentrarci nella narrazione di Perseo, l’eroe leggendario che sconfisse medusa, domò Pegaso il cavallo alato e con lui andò a sconfiggere il mostro marino, Cetus, la balena, che voleva divorare Andromeda, la principessa d’Etiopia figlia di Cefeo e Cassiopea, regina di leggendaria bellezza, tanto orgogliosa da sfidare la vanità delle Nereidi, le figlie di Posidone.
Ma andiamo con ordine a conoscere i personaggi di questa incredibile avventura...
Cefeo1Cepheus - Hevelius, Uranographia, XVII sec.Questa storia comincia con Cefeo. Cefeo compare in diversi racconti mitologici. Cefeo è per esempio il nome di un argonauta, ma si suppone si tratti di personaggi differenti seppur omonimi. In questa narrazione ci si riferisce al re d’Etiopia, territorio che però anticamente non coincideva con l’attuale stato africano, bensì si ritiene fosse l’indicazione dell’attuale Giordania/Arabia Saudita.
Re Cefeo, a causa della vanità della moglie, si vide costretto a sacrificare la sua unica figlia, Andromeda, ad un mostro marino che stava tormentando le coste del regno. Questo re, senza eredi maschi, vide quindi in Perseo, il valoroso guerriero, la possibilità non solo di salvare la sua amata figlia, bensì anche quello di assicurarsi una discendenza degna di governare il regno.
Se nel mito Cefeo non brilla particolarmente, né per il coraggio né per le sue capacità, a renderlo degno di nota in epoca più recente ci hanno pensato però dei giovani astronomi.
Siamo nel XVIII secolo e due nomi in particolare si legheranno a questa costellazione: Edward Pigott e John Goodricke.
Cefeo4John Goodricke 1764-1786Vissuti nella seconda metà del secolo, nel 1783 il trentenne Pigott stringe amicizia con il suo vicino di casa, Goodricke, allora appena diciottenne.
A legarli insieme c’è una passione forte per il cielo, ma in particolare per le stelle variabili.
Goodricke, infatti, aveva già scoperto il motivo della periodicità di Algol, mentre Pigott sera destinato a scoprire l’anno seguente (1784) la stella variabile Eta Aquilae. Nello stesso periodo il più giovane tra i due, Goodricke, scoprì altre due stelle variabili, Beta Lyrae e Delta Cephei. Non è noto il perché, tuttavia la scoperta di Delta Cephei diede il nome a tutte le variabili di classe simile, tutt’oggi note come Cefeidi.
Come talvolta accade, un astro apparentemente insignificante, ha dato tanto lustro alla sua costellazione da far legare il nome di Cefeo ad un importante strumento nelle mani di chi studia la cosmologia.
Le Cefeidi sono stelle di particolare importanza e bellezza, soprattutto per la loro funzione di candele standard. Normalmente possiamo definire di un astro due tipi di magnitudine, quella reale e quella apparente, il legame ovviamente sottostà alla distanza dalla terra. Se misurare la magnitudine apparente può non essere un problema, legare distanza e magnitudine reale, normalmente lo è, specialmente per gli astri di cui non è possibile misurare la distanza con la consueta tecnica della parallasse, ecco quindi l’importanza delle stelle Cefeidi.
Cefeo2Edward Pigot 1753-1825Questi astri riescono a variare fino a 7 volte la propria magnitudine con pulsazioni che variano da poche ore fino a quasi cento giorni. La variabilità è inoltre particolarmente stabile e regolare nel tempo con variazioni di soli pochi secondi. La variazione di luminosità dell’astro si accompagna con una variazione di temperatura e quindi di classe spettrale che normalmente varia da A ad F ma talvolta, per pulsazioni più lunghe, porta l’astro fino in classe K.
Questo significa che passano dall’essere stelle bianco-azzurre di sequenza principale (classe A) al minimo della loro luminosità, fino a diventare Giganti rosse raggiungendo così il picco di luminosità assoluta.
Le stelle classificate come Cefeidi legano la loro frequenza di pulsazione alla variazione di luminosità ed alla magnitudine assoluta che possono raggiungere. Nota quindi la luminosità apparente e la frequenza pulsante, è possibile determinare la distanza dalla terra dell’astro.
E così, dopo una vita dedicata alla caccia alle stelle variabili, grazie all’intuizione di una donna, è stato definite il principio fisico che si nasconde dietro le stelle variabili successivamente ribattezzate come stelle di tipo Cefeidi, utilizzate in cosmologia come metro di paragone per misurare l’universo.
La donna in questione era Henrietta Swan Leavitt, la cui occupazione era di osservare le lastre fotografiche presso il centro osservativo di Harvard. Henrietta diventò una delle così dette Computer di Pickering.
Cefeo5Henrietta Swan Leavitt 1868-1921Nata nel 1868, era la primogenita di sette figli di George Leavitt, ministro della chiesa congregazionalista. Il padre di Henrietta diede alla famiglia uno status agiato ma al costo di frequenti spostamenti di città. Fù così che nel 1888, Henrietta Leavitt, allora ventenne si trasferì a Cambridge, cittadina famosa per ospitare la prestigiosa università di Harvard. Essendo all’epoca l’iscrizione ad Harvard riservata agli uomini, Leavitt si iscrisse ad un istituto aggregato, successivamente noto come Radcliff College, il quale si occupava della formazione superiore per le donne. Il corso frequentato da Henrietta, la portò a laurearsi nel 1892 in arte, pur senza trascurare corsi di matematica ed astronomia.
All’età di 23 anni, affascinata dal cielo, supportata dalla agiatezza familiare, Leavitt si iscrisse ad un programma di volontariato come assistente ricercatrice presso il prestigioso Osservatorio di Harvard.
Il lavoro delle ”Donne Computer”, consisteva nel osservare le lastre fotografiche registrate dall’osservatorio, misurare la magnitudine delle stelle e catalogarle per magnitudine, classe spettrale e posizione. In particolare, Henrietta dava la caccia alle stelle variabili.
Cagionevole di salute, Leavitt passo una serie di anni a combattere contro le malattie, periodò che la portò ad allontanarsi dall’osservatorio fino al 1897. Quando poi prese il posto di direttore Edward Pickering, le cose migliorarono leggermente. Innanzi tutto, da volontarie, le donne computer divennero dipendenti, anche se mal pagate, ed inoltre vennero valorizzati i loro lavori e studi.
Cefeo3Diagramma H-R con evidenziata l'instabilità delle stelle cefeidiGli studi di Henrietta sulle stelle variabili, in particolar modo legati alle Nubi di Magellano, la portarono a definire 1777 stelle variabili. Gli studi vennero quindi pubblicati nel 1908. Ben 25 astri tra quelli riconosciuti da Henrietta avevano le caratteristiche delle stelle Cefeidi ed assumendo che le stelle delle Nubi di Magellano avessero tutte pari distanza, l’astronoma riuscì a costruire la relazione che legava periodo di variabilità e luminosità.
La teoria sviluppata da Leavitt venne poi convalidata da Ejnar Hertzsprung (famoso per il diagramma H-R) che usando la tecnica della parallasse determinò la distanza di numerose Cefeidi dentro la Via Lattea.
Sebbene il lavoro di Leavitt possa sembrare noioso, si rivelò particolarmente importante perché grazie a questa donna, un altro nome si è successivamente imposto nel firmamento della scienza: Edwin Hubble.
Hubble, infatti sfrutto l’intuizione di Henrietta, seppur diversi anni più tardi, per dimostrare che la nebulosa di Andromeda era troppo lontana per poter essere parte della Via Lattea.
In un attimo i confini dell’universo si espansero a dismisura facendo crollare molte delle certezze degli astronomi dell’epoca.
Ma questa è un’altra delle avventure legate alla saga familiare di Cefeo, e merita di essere raccontata…

 

di Fabrizio Benetton

 

Bibliografia:
Grande guida dell’astronomia, Libreria Geografica in collaborazione con A.S.I., edizione aggiornata 2020
Wikipedia – the free enciclopedia (Versione Italiana ed Inglese)
Storie del Cielo, Il giro del cosmo in 365 notti, seconda ed., di Ilaria Sganzerla
I miti Greci, di Robert Graves, ed. Longanesi
Stories of Astronomers and Their Stars – David Falkner – The Patrick Moore Practical Astronomy Series – Springer book

Immagini:
Wikipedia – the free enciclopedia
Atlascoelestis.com – di Felice Stoppa

Lynx - Lince

Una vista molto acuta, ecco la migliore delle caratteristiche degli astronomi fino all’avvento della fotografia, quindi cioè fino al XIX secolo, quando venne ripresa la prima immagine astronomica su lastra fotografica, la luna ripresa da Louis Daguerre nel 1838.
Fino a tale data pertanto ci si doveva sforzare contando sulle proprie capacità, allenare la propria capacità visiva in modo da riconoscere e distinguere il maggior numero di dettagli possibili, anche al telescopio.
Lo stesso William Herschel disse: “Non puoi aspettarti di vedere al primo sguardo. Osservare è per certi versi un’arte che bisogna apprendere.”
Arte sicuramente necessaria per riuscire a percepire ad occhio nudo quelle stelle poco luminose poste tra le costellazioni dell’Orsa maggiore, Giraffa, Auriga e Gemelli, le stelle della costellazione della Lince.

Lince0Lince - Hevelius, Uranographia, XVII sec.
Questa costellazione non ha infatti origini antiche, presumibilmente proprio per la scarsa appariscenza degli astri che la compongono. Si tratta infatti di un’invenzione ad opera di un astronomo polacco del XVII secolo, Jan Heweliusz, meglio noto come Johannes Hevelius, famoso per le sue rappresentazioni del cielo, di cui Uranographia ne è l’espressione più famosa, tanto da venir citata e rappresentata in molte trattazioni astronomiche. La scelta di definire questo asterismo, che altro non è che una linea di stelle poco luminose, con il nome del feroce felino, sta proprio nel gioco di parole legato alla vista acuta necessaria per osservarle, ossia, un occhio di lince.
Come molti sui contemporanei, Hevelius, intendeva con la sua opera lodare il suo benefattore, difatti il nome completo del atlante celeste è “Firmamentum Sobiescianum, sive Uranographia”. Il termine Sobiescianum fa infatti riferimento al re della confederazione Polacco-Lituana degli anni 1674-1696, re Jan III Sobieski, al quale l’opera viene dedicata postuma, pubblicata a Danzica nel 1690, 3 anni dopo la morte del suo autore.
Lince1Johannes Hevelius, Danzica 1611-1687La storia dell’uomo che incise il firmamento lasciando un segno che ancora oggi ricordiamo è curiosa e degna di nota per lo spirito intraprendente e caparbio di un uomo che ha cambiato il suo pezzo di storia.
Jan nacque a Danzica nel 1611 in una facoltosa famiglia di birrai. Essendo l’unico figlio maschio della famiglia a diventare adulto, il padre ripose in lui le speranze di veder portare avanti l’impresa di famiglia, il birrificio che era emblema di benessere e posizione sociale.
Per poter crescere con un’adeguata formazione, il giovane Hevelius venne fatto studiare al Gymnasium di Danzica, una scuola elitaria che preparava gli studenti per futuri corsi universitari. Nonostante gli anni burrascosi dettati dalla guerra dei Trent’anni e dalla presenza della peste, il giovane riuscì a seguire gli studi, incontrando tra gli altri il professore Peter Kruger, matematico ed appassionato astronomo che seppe far fiorire nell’allievo una passione forte, tanto da portare Hevelius non solo a studiare e conoscere bene il firmamento, ma anche a realizzare strumenti di misura e calcolo in legno e metallo.
Gli studi universitari (svolti nei principali centri europei tra cui anche Londra e Parigi) pur vertendo su materie diverse dalla sua passione, non riuscirono mai a soffocarla, finché nel 1634, rientrato a Danzica, entrò a far parte della corporazione dei birrai ed iniziò ad occuparsi degli affari di famiglia.
Sposatosi l’anno seguente con una giovane di famiglia facoltosa, Katharina Rebeschke, Jan si vide preso tra lavoro e famiglia, facendo così uscire momentaneamente dalla sua vita l’amore per il cielo.
Pochi anni dopo il matrimonio, nel 1639, Hevelius venne fatto chiamare dal suo ormai morente professore di matematica ed astronomia, il professor Kruger, che sul letto di morte raccomando Jan di consacrare la sua vita al nobile studio del cielo.
A rimarcare il monito del professore, si accompagno una eclissi di sole che fece sì che l’astronomia prendesse un posto di massima rilevanza nella vita di Hevelius, per sempre.
I due segni non lasciarono indifferente Johannes, il quale iniziò a dedicarsi allo studio astronomico ed alla costruzione di strumenti di misura con vigore ed energia, supportato dalla moglie che non soltanto ne assecondava la passione, ma sbrigava anche incarichi di gestione nella ditta di famiglia al posto del marito.
Non rinunciò alla sua passione neanche quando ricevette incarichi istituzionali da parte del comune ne quando morì il padre, lasciando l’intera gestione del birrificio in mano al figlio.
In questi anni l’astronomo si dedicò a diversi studi astronomici, tra cui la mappatura della luna, attività che culminò nella pubblicazione della Selenographia, un atlante composto da oltre 40 mappe del suolo lunare osservato grazie ad un telescopio autocostruito.
Lince2Mappa lunare - Selenographia, Hevelius, 1647L’opera risultò tanto mirabile da poter tutt’oggi essere considerata una delle più grandi opere scientifiche del XVII secolo. Molti nomi della cartografia lunare oggi in uso sono frutto delle fatiche di questo maestro dell’osservazione.
Le opere di Hevelius furono molte e tutte di pregio, tanto da elevarlo ad uomo di scienza di fama internazionale. La stessa Royal Society di Londra, nel 1664, gli conferì il titolo di Fellow.
Rimasto vedevo nel 1662, Hevelius si risposò nel 1663 (all’età di 52 anni) con Catherina Koopman (di 16 anni), una donna molto più giovane di lui ma che lo supportò in tutto per permettergli di proseguire i suoi studi astronomici.
La fama e la maestria di Hevelius fecero anche divenire famoso il suo osservatorio, costruito in casa, che divenne presto una meta ambita da altri personaggi di spicco, tanto da essere considerato uno dei più belli osservatori dell’epoca. Tanta bravura non poteva però non suscitare l’invidia di qualcuno.
Negli anni ‘70 del secolo, Hevelius vide mettere in dubbio la precisione ed accuratezza delle sue misurazioni svolte senza telescopio. L’inglese Robert Hooke affermava infatti che tali rilievi erano impossibili senza l’ausilio di strumenti ottici. Sebbene in linea di principio Hooke avesse ragione, non aveva però fatto i conti con la qualità superiore degli strumenti autocostruiti dal polacco e la sua straordinaria capacità visiva. La controversia trovò infine una soluzione grazie ad una spedizione, voluta dalla Royal Society, per dirimere i dubbi. Edmund Halley, all’epoca ventireenne, fu incaricato di ripetere, con un telescopio, le misurazioni svolte da Hevelius.
Lince3Hevelius e CatherinaIl sollievo per la risoluzione della disputa durò breve, però, perché nello stesso anno, 4 mesi dopo la spedizione di Halley, l’osservatorio di Hevelius, un gioiello di scienza e tecnica, andò in fumo durante un disastroso incendio.
In meno di due anni l’astronomo ricostruì l’osservatorio, ma i nuovi strumenti risultarono inferiori rispetto a quelli perduti.
Pochi anni dopo, nel 1686, il 13 Febbraio, Johannes Hevelius veniva sepolto nella chiesa di Santa Caterina.
Una vita dedicata all’astronomia, una vita cui tutti dobbiamo tutt’oggi ringraziare.
Gli studi di Hevelius e le sue tavole, nonché i suoi atlanti sono gioielli di scienza, tecnica ed arte.
La sua vista acuta, supportata da una mente brillante, lo hanno saputo far andare oltre le cose, tanto da vedere ad occhio nudo quel che per gli altri è solo buio.
Un occhio di Lince che ci ha lasciato un segno duraturo della sua esistenza.
Grandi uomini e grandi donne hanno dedicato la loro vita al sapere ed alla conoscenza, il loro nome è scritto nelle stelle.

 

di Fabrizio Benetton

 


Bibliografia:
Grande guida dell’astronomia, Libreria Geografica in collaborazione con A.S.I., edizione aggiornata 2020
Wikipedia – the free enciclopedia (Versione Italiana ed Inglese)
Storie del Cielo, Il giro del cosmo in 365 notti, seconda ed., di Ilaria Sganzerla
La storia dell’astrofotografia – Marco Crupi -Marcocrupi.it
JOHANNES HEVELIUS IL BIRRAIO ASTRONOMO, di Agnese Mandrino - brera.inaf.it

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Il Drago - Draco

Un albero dalle mele d’oro. Questo fu il regalo di nozze da parte della Madre Terra ad Era in occasione del suo matrimonio con Zeus. La sposa fu’ poi così felice del dono che lo custodì nel suo orto sul monte Atlante, mettendogli a custodia le Esperidi (le figlie di Atlante) e Ladone, il drago dalle cento teste che sapeva parlare molte lingue e ripetere i versi degli animali così da spaventare anche gli uomini più coraggiosi.

Draco1Draco - Hevelius, Uranographia, XVII sec.

Il valoroso Eracle (o Ercole) ricevette come incarico da parte di Euristeo, il compito di cogliere le mele d’oro dal giardino custodito dalle esperidi. Questa avventura è nota anche come l’undicesima fatica.
Il giardino che ospitava l’albero era protetto da un possente muro creato da Atlante, prima che il titano venisse punito e costretto a sorreggere il mondo, ed Eracle, non sapendo come fare a cogliere i frutti del albero, chiese consiglio a Prometeo su come agire. L’eroe mise quindi, senza indugio, in atto il suo piano: si offrì ad Atlante di sorreggere il mondo per qualche ora, per alleviarlo dal pesante fardello, nel frattempo però, Atlante doveva cogliere le mele d’oro e portarle ad Eracle. Atlante accettò volentieri, avrebbe fatto qualunque cosa pur di liberarsi del peso che sorreggeva sulle spalle, tuttavia, il drago Ladone spaventava il titano, così Eracle decise di ucciderlo con una freccia scagliata stando al di fuori del muro. Liberatisi della creatura, Atlante colse le mele e si offrì di portarle ad Euristeo egli stesso se Eracle avesse accettato di sostenere il mondo per qualche mese ancora. Draco2Ercole uccide Ladone, Annibale Carracci, dipinto del XVI sec., Palazzo FarneseL’eroe accettò, tuttavia chiese ad Atlante di dargli il tempo per fasciarsi il capo e prepararsi al incarico. Il titano accettò, posò a terra le mele e riprese sulle spalle il mondo, ma Eracle raccolse i frutti e si allontanò. Quando Era si accorse della morte di Ladone, piangendo, lo pose nel cielo come costellazione del serpente. Secondo altri filoni del mito, Ercole avrebbe ucciso il drago combattendo con lui per poi raccogliere personalmente i preziosi frutti. 

Questo mito si ritiene abbia radici molto più profonde che non la sola cultura greca, tuttavia non è ancora noto a quale periodo risalga effettivamente. Ciò che sappiamo per certo è che la costellazione del drago è antica, nota sicuramente tanto agli antichi egizi quanto ai babilonesi. Se della costellazione babilonese sappiamo poco, della versione egizia abbiamo qualche elemento in più. Sappiamo con certezza che nel 3000 a.C. la stella più prossima al polo nord celeste era Thuban (Alpha Draconis) e sappiamo anche, grazie agli studi di archeoastronomia che le grandi piramidi di Giza presentano allineamenti precisi con le stelle. La grande piramide di Cheope ha infatti stupito e fatto dibattere a lungo gli archeologi in merito ad
alcuni suoi dettagli, tra cui la presenza di condotti che dal cuore della piramide conducevano verso l'esterno. I condotti sono quattro, posti esattamente lungo il meridiano passante. Due condotti sono orientati in direzione nord e due in direzione sud. Una coppia di condotti parte dalla camera del Re ed una dalla camera della regina.

 

Draco5Orientamento astronomico dei condotti della Grande piramide di Cheope.

Ipotizzati dapprima come condotti di areazione, è stato successivamente notato come fossero estremamente complicati per la loro funzione, dovendo attraversare in diagonale imponenti blocchi di pietra, inoltre la ventilazione sembrava essere comunque garantita più dal corridoio principale che non da questi condotti, per altro molto stretti. I canali della Piramide di Cheope rappresentarono a lungo un enigma affascinante e complesso. Si dovette attendere fino al 1964 perchè l’astronoma Virginia Trimble e l’egittologo Alexander Badawy formulassero l’ipotesi che i condotti fossero allineati astronomicamente e quindi fossero legati al culto funerario. Tenendo conto della precessione degli equinozi, la rotazione dell’asse terrestre attorno al piano di rivoluzione, gli studiosi stimarono che il condotto nord della Camera del Re puntasse verso la culminazione della stella polare dell’epoca, Alpha Draconis, mentre il condotto sud puntava sulla culminazione della Cintura di Orione. I condotti della camera della regina puntavano invece rispettivamente verso Sirio a sud e verso l’orsa minore a nord. Queste ipotesi sarebbero in linea con gli studi archeologici in merito alla concezione egizia della morte in quanto il faraone sarebbe dovuto diventare una stella compagna di Osiride (Orione) e la regina di Iside (Sirio). Re e regina avevano inoltre un posto vicino alle stelle imperiture, le stelle così vicine al polo nord celeste da non tramontare mai. 

Draco3Galassia Fuso - Messier 102 - NASA, ESA and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA)Se dalla cultura egizia a quella greca dobbiamo fare un salto nel tempo di quasi due millenni, prima di trovare qualcosa di veramente significativo nella storia della costellazione, dobbiamo fare un altro salto di pari lunghezza. Nel XVII secolo, l’astronomo Pierre Mechain avvisto nella primavera del 1781 un oggetto nebuloso che subito segnalò al suo amico Charles Messier per inserirlo nel suo catalogo. Tuttavia, pochi anni più tardi l’astronomo scrisse al matematico svizzero Bernoulli di
essersi confuso con la vicina nebulosa M101 facendo nascere una controversia con Messier che nel frattempo aveva pubblicato il suo catalogo citando la nebulosa nel drago come M102. Il dubbio venne poi risolto da Herschell che in maniera del tutto indipendente scoprì e misurò la nebulosa, misure che diedero così ragione a Messier.

Venendo poi a tempi più moderni, la costellazione del Drago presenta due primati per lo stesso oggetto del profondo cielo. La nebulosa planetaria NGC 6543, scoperta da W. Herschel, è ubicata in corrispondenza del asse di rivoluzione terrestre, ossia è il polo nord dell’eclittica, l’asse attorno al quale si sviluppa il movimento annuale di rotazione della terra attorno al sole. Non solo, questa nebulosa è nota anche per essere la prima planetaria di cui si sia tentata la spettroscopia. Draco4NGC 6543 - Nebulosa Occhi di Gatto - NASA Hubble Space TelescopeSiamo nel 1864 e l’astronomo William Huggins, si era dato l’obiettivo di analizzare spettroscopicamente questo oggetto. Seppur complessa, la pratica di dividere la luce nelle sue bande luminose era gia nota ed applicata in astronomia. Tuttavia, quando Huggins pose l’occhio allo spettrografo ebbe una sorpresa, non si vedeva nulla, salvo una singola righetta. Ad una analisi più attenta emersero altre due righette luminose nella parte blu dello spettro, ma niente altro. L’astronomo, che pensava di trovarsi di fronte ad un ammasso stellare, capì di trovarsi davanti ad un semplice ammasso di gas luminoso. Bisogna a questo punto ricordare che fino agli inizi del XX secolo, le nebulose erano, seppur ben mappate e note, considerate degli ammassi globulari appartenenti alla nostra galassia, tanto che fu Hubble a dimostrare come la Nebulosa di Andromeda contenesse delle stelle di tipo Cefeide (stelle pulsanti la cui pulsazione e luminosità sono collegate matematicamente tanto da poterne indicare con certezza la distanza) troppo lontane per appartenere alla nostra galassia. Questa era la prova che la Nebulosa di Andromeda era al di fuori della via lattea ed i confini del universo si erano appena estesi oltre ogni immaginazione. 

La storia di generazioni di uomini e donne è scritta nelle storie del cielo, cielo che potrebbe raccontare la nostra storia meglio di quanto non siamo in grado di fare noi. Perciò quando alziamo gli occhi al cielo, pensiamo che stiamo compiendo un gesto che da quando esiste l’umanità, hanno compiuto milioni di persone in epoche e luoghi diversi della terra. Tutti con lo stesso stupore, tutti con la stessa meraviglia, tutti con gli occhi al cielo.

 

di Fabrizio Benetton

 

 

Bibliografia:
Grande guida dell’astronomia, Libreria Geografica in collaborazione con A.S.I., edizione aggiornata
2020
Wikipedia – the free enciclopedia (Versione Italiana ed Inglese)
Storie del Cielo, Il giro del cosmo in 365 notti, seconda ed., di Ilaria Sganzerla
I miti Greci, di Robert Graves, ed. Longanesi
Archeoastronomia: la scienza delle stelle e delle pietre - di Giulio Magli
Stories of Astronomers and Their Stars – David Falkner – The Patrick Moore Practical Astronomy
Series – Springer book

Immagini:
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Stellarium (software desktop)
Atlascoelestis.com – di Felice Stoppa
Hubble Space Telescope
NASA, ESA and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA)
http://civiltaanticheantichimisteri.blogspot.com/2015/09/lorientamento-astronomico-della.html

La Giraffa – Camelopardalus

Giraffa 001Zona di cielo vuota, Stellarium, Costellazioni greche (Almagestum)Nell’antichità, come abbiamo già avuto modo di vedere, il cielo, era molto presente e significativo nella vita quotidiana delle persone. Le porzioni di cielo visibili venivano quindi suddivise in asterismi e dotate di nomi. Ai nomi veniva poi assegnata una storia, un mito che ne spiegasse l’origine o la particolarità. Tuttavia, per secoli, una regione del cielo circumpolare, ossia una di quelle zone visibili sempre durante tutto l’anno, e per questo motivo particolarmente ricche di significato, era rimasta vuota. Per secoli non abbiamo menzione che nessuno si fosse preso il disturbo di nominare quell’area che noi sappiamo essere abitata da uno degli animali più esotici mai comparsi, un cammello leopardato.

Chi conosce di astronomia non sarà d’accordo con questa affermazione, in quanto, la costellazione di cui sto parlando si chiama sì Camelopardalis (Camelo Pardalus secondo altre fonti), ma in italiano è nota come Giraffa.

Ebbene, bisogna allora precisare che per i greci prima, per i latini poi, la giraffa veniva considerata quale un cammello (per via del lungo collo) dal manto maculato, leopardato per l’appunto. Il termine italiano Giraffa deriva invece da un altro ceppo linguistico mediorientale, dove l’animale veniva chiamato “Zarrafah”. Chiarita ora l’ambiguità relativa al nome di questo animale esotico, è tutta da scoprire la strada che lo ha portato in cielo, a ricoprire un ruolo di primo piano tra le orse e la saga della famiglia reale etiope, ossia Cassiopea, Cefeo e Perseo.

Stranamente, questo particolare asterisma poco appariscente, che non si era meritato nessuna menzione da giganti del passato quali Ipparco e Tolomeo, è stato definito così come lo conosciamo da un teologo e pastore della Chiesa Riformista olandese che nel XVII sec. creò in tutto 12 delle costellazioni a noi note tra cui l’unicorno “Monocerontis” e la Giraffa “Camelopardalis”.

L’autore in questione era Pieter Platevoet, noto ai più con il nome latinizzato di Petrus Plancius. Si tratta di un vero e proprio cartografo professionista che nel 1592 pubblicò “Nova et Exacta terrarum orbis tabula geographica ac hydrografica” di cui si riporta la raffigurazione piana datata 1594. Era la rappresentazione più completa e precisa del mondo allora conosciuto.

Un cartografo dunque che ben presto si appassionò della volta celeste. In un epoca di grandi esplorazioni e missioni avventurose, quando il cielo australe era ancora poco conosciuto e tutto da scoprire, Plancius maturò un vivo interesse per la cartografia celeste dopo aver aiutato Jacob Floris van Langren a realizzare un globo celeste che per primo riportava dettagli del cielo australe come ad esempio le nubi di Magellano e la croce del sud.

Giraffa 002Rappresentazione piana della Nova et Exacta terrarum orbis tabula Petrus Plancius geographica ac hydrografica - 1594 (sinistra) Petrus Plancius (destra)

L’interesse di Plancius fu tale che richiese, nel 1595 al capitano della nave Hollandia, Pieter Dirkszoon Keyser, di compiere osservazioni in merito alle aree di cielo attorno al polo sud celeste. Nonostante la morte di Keyser solo l’anno seguente, Plancius ricevette, grazie anche al contributo dell’esploratore Frederick de Houtman, un catalogo di 135 stelle. Grazie a queste osservazioni, il cartografo inventò le nuove costellazioni australi che riportò su un nuovo globo, costellazioni poi riprese anche da Bayer nella celebre Uranometria del 1603.

La giraffa comparve solo successivamente, nel 1612, assieme all’unicorno ed ad altre costellazioni inventate da Plancius allo scopo di riempire aree di cielo su di un nuovo globo di 26,5cm di diametro. Tra le varie invenzioni del fiammingo ricordiamo a titolo di esempio la Freccia Australe, il Granchio minore, il Tigri, l’Eufrate ed il Giordano, cadute attualmente in disuso. Il cartografo tuttavia si limitò a far comparire le nuove costellazioni senza farne mai una descrizione scritta. La prima descrizione della giraffa venne fatta ad opera di Jacob Bartsch, astronomo tedesco e cognato di Keplero, nel 1624.

Bartsch male interpretò il pensiero di Plancius ritenendo che Camelopardalis fosse non una giraffa, bensì un cammello riportando inoltre come si trattasse della catasterizzazione (attribuzione di un personaggio od animale mitologico ad una costellazione) del animale biblico che trasportò Rebecca a nozze con Isacco.

[61] Così Rebecca e le sue ancelle si alzarono, montarono sui cammelli e seguirono quell'uomo. Il servo prese con sé Rebecca e partì. [62] Intanto Isacco rientrava dal pozzo di Lacai-Roi; abitava infatti nel territorio del Negheb. [63] Isacco uscì sul fare della sera per svagarsi in campagna e, alzando gli occhi, vide venire i cammelli. [64] Alzò gli occhi anche Rebecca, vide Isacco e scese subito dal cammello. [65] E disse al servo: «Chi è quell'uomo che viene attraverso la campagna incontro a noi?». Il servo rispose: «È il mio padrone». Allora essa prese il velo e si coprì. [66] Il servo raccontò ad Isacco tutte le cose che aveva fatte. [67] Isacco introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara; si prese in moglie Rebecca e l'amò. Isacco trovò conforto dopo la morte della madre.[Genesi 24,61-67]

Giraffa 003Camelopardalus - Hevelius, Uranographia, XVII sec.Da allora questo passo biblico viene legato ad una costellazione che non vi ha nulla a che vedere, tanto più che i principi ispiratori di Plancius, sebbene fosse un teologo e pastore riformista, erano legati alle esplorazioni, diari di viaggio e storia naturale. Bartsch di fatto conosceva poco della costellazione della giraffa ed ancor meno del suo ideatore tanto da essersi evidentemente confuso con il nome latino del animale e ancor di più avendo attribuito l’ideazione ad Isaac Habrecht che ebbe solo il merito di riportarla nel suo globo datato 1621 (9 anni dopo quello di Plancius del 1612).

Per ammirare, od anche solo percorrere con lo sguardo, questa particolare costellazione è necessario avere la fortuna di stare sotto un cielo particolarmente limpido e privo di inquinamento luminoso. In alternativa, un binocolo od un piccolo telescopio possono già permetterci di osservarne le stelle che altrimenti ad occhio nudo risultano particolarmente sfuggenti. Non è stato un caso infatti se Camelopardalis non deriva da una tradizione antica.

Nessuna stella ha un nome proprio e solo tre sono state nominate da Bayer: Alfa, Beta e Gamma. Tuttavia è possibile trovare anche in questa porzione di cielo dei veri gioielli, come ad esempio la galassia nota come NGC2403 scoperta da William Herschel nel 1788 e facente parte del gruppo di M81. Infatti, carte alla mano, si vede presto che tale oggetto del profondo cielo è molto vicino alla costellazione dell’orsa.

Come talvolta accade, ciò che non brilla e non si rende appariscente viene trascurato, come è successo a questa area di cielo che invece è in grado di donare emozioni agli astrofili più appassionati. Talvolta basta grattare un poco la superficie per scoprire storie avvincenti ed appassionanti. Anche se la Giraffa non ha un mito proprio davvero calzante ed interessante, di certo la storia della sua genesi è particolare e degna di nota, come il suo nome ingannevole eppur così esotico ed a suo modo accattivante.

Infine questa costellazione ha da insegnare qualcosa con cui gli scienziati devono fare sempre i conti, ossia il fatto che non vedere niente, non significa che non ci sia niente da vedere, ma solo che dobbiamo guardare in modo diverso tutte le cose per poterne cogliere il vero  e magari celato potenziale.

Giraffa 004Camelopardalis, Stellarium, Costellazioni Occidentali

 

di Fabrizio Benetton

 

Bibliografia:
Grande guida dell’astronomia, Libreria Geografica in collaborazione con A.S.I., edizione aggiornata 2020
Wikipedia – the free enciclopedia (Versione Italiana ed Inglese)
Storie del Cielo, Il giro del cosmo in 365 notti, seconda ed., di Ilaria Sganzerla
DeepSky: Camelopardus (Parte prima e parte seconda), di Stefano Schirinzi – Coelum.com

Immagini:
Wikipedia – the free enciclopedia
Stellarium (software desktop)
Atlascoelestis.com – di Felice Stoppa

L’Orsa Minore – Ursa Minor

UrsaMinor 001Arcade e Callisto,Palazzo Ducale, MantovaArcade, un giovane ed abile cacciatore, stava per colpire a morte un’orsa, quando Zeus intervenne fermando la mano al giovane e portando in cielo madre e figlio. L’orsa era infatti Callisto, la madre stessa del giovane Arcade, trasformata in plantigrado per punizione essendo giaciuta con il padre degli dei, Zeus. Una volta portati in cielo, Zeus li ha posti uno di fronte all’altra, destinati a ruotare eternamente in cielo senza mai potersi bagnare nelle acque purificatrici del mare. L’orsa ed il suo cucciolo, l’orsa minore. La particolarità che poi rende veramente interessante la porzione di cielo occupata dall’orsa minore, non è la sua storia, corollario della storia ben più significativa della madre Callisto di cui ci siamo già occupati.
Ciò che rende unica quella porzione di cielo è la stella polare. Riferimento senza tempo per artisti e scienziati, è il fulcro attorno cui ruota tutto il nostro mondo, unico ed immutabile. La stella fissa. La sola ed unica stella polare… Purtroppo per noi però le cose non stanno esattamente così.
UrsaMinor 002Ursa Minor - Hevelius, Uranographia, XVII sec.Freniamo per un istante l’entusiasmo e la vena poetica per dare spazio ad una realtà scientifica meno ispiratrice di buoni sentimenti ma ricca di significati fisici. La stella polare, innanzi tutto è li per caso. Per un puro gioco della casualità, esiste una stella che per un periodo di qualche secolo si trova molto vicina all’asse di rotazione del pallido puntino blu (letteralmente “a pale blue dot”) come il grande Carl Sagan definì la Terra vista dai confini del sistema solare grazie alle riprese delle sonde Vojager. In secondo luogo la stella polare non è fissa e non lo è per due ragioni. 

Il primo motivo è rappresentato dal fatto che non coincide esattamente con l’asse polare, è scostata di qualche primo di grado. Poca roba per chi si limita ad alzare gli occhi al cielo. Una differenza enorme per chi invece deve fare i conti con la posizione esatta dell’asse di rotazione. Lo sanno bene gli amici astro-fotografi del gruppo Valli del Noce che conoscono bene questo dettaglio non trascurabile durante le sedute di ripresa. Il secondo motivo è legato alla famigerata precessione degli equinozi cui abbiamo già accennato parlando dell’Orsa Maggiore.
UrsaMinor 003Cambiamento del Polo Nord CelesteMa come, un momento fa si parlava di stella polare ed ora si parla delle stagioni? Ebbene si, perché il termine di precessione degli equinozi, che letteralmente indica il precedersi, cioè l’anticiparsi dell’equinozio di primavera, come anche quello di autunno, è anche il fenomeno che farà si che tra qualche secolo… la stella polare non sia più tale. Non solo, entro qualche millennio, la stella più vicina all’asse polare sarà addirittura un altro astro appartenente ad un’altra costellazione. Proviamo allora ad addentrarci per un momento in questo fenomeno fisico dal nome così temibile, tanto da sembrare una cospirazione per far sparire le mezze stagioni. La terra, come noto non è una sfera perfetta bensì presenta degli schiacciamenti ai poli ed un rigonfiamento all’equatore. L’asse di rotazione terrestre inoltre non è perpendicolare al piano di rivoluzione attorno al sole, bensì è inclinato di 23,27°. Ad aggravare la situazione abbiamo un satellite dalle dimensioni importanti, la luna infatti rappresenta circa l’1,2% della massa della terra. L’attrazione gravitazionale del sole, combinato con quello della luna, agiscono sul rigonfiamento terrestre causando quindi un movimento circolare dell’asse terrestre che ruota attorno alla verticale in poco meno di 26,000 anni. Questo fenomeno fa si per l’appunto che la stella polare si sposti lentamente. Un esempio importante è che 2000 anni fa, al tempo di Tolomeo, la stella polare non c’era proprio, mentre nel 3000 a.C. c’era una stella polare diversa, era Thuban nella costellazione del Drago.
Ma come può questo fenomeno interessare gli equinozi? La risposta è semplice. Se l’inclinazione dell’asse polare ruotasse di 90°, ad esempio, quello che era l’equinozio di primavera diverrebbe il solstizio d’estate, mentre quello che era il solstizio d’inverno diverrebbe l’equinozio di primavera. Dal punto di vista calendariale non percepiamo questa differenze in quanto l’equinozio di primavera cade sempre, grazie alla riforma Gregoriana, nello stesso giorno del 21 Marzo. Dal punto di vista astronomico, la precessione degli equinozi si traduce con le costellazioni visibili in un determinato periodo dell’anno.
Ma vediamo questo concetto con un esempio concreto. Chi segue, anche solo per diletto, l’oroscopo, sa bene che il 21 Marzo il sole entra nell’ariete. Si e no. Si, nel senso che circa 2000 anni fa, il grande Tolomeo definì così l’equinozio di primavera, il così detto primo punto d’ariete cui l’astrologia è sempre rimasta fedele. No nel senso che oggi, al 21 marzo il sole attraversa la costellazione dei pesci (tra altri 2000 anni, in primavera avremo il sole nell’acquario). Il Sole nell’ariete lo troviamo ad oggi verso fine Aprile ed inizio Maggio.
L’importanza di questo fenomeno è tale che nei primi secoli dopo Cristo, il culto cristiano ha dovuto contendersi il primato di diffusione con un altro culto, il Mitraismo. Il Mitraismo è un culto misterico di cui si conosce molto poco. Ciò cui ormai gli studiosi stanno considerando come linea comune è che non si tratti di una versione romana di un culto indiano, bensì di un culto legato a precetti astronomici. UrsaMinor 004Bassorilievo appartenente al mitre del Circo Massimo, RomaPur essendoci ancora molta confusione e filoni di pensiero diversi rispetto al significato di questo culto e dei suoi simboli, gli archeoastronomi convergono nel considerare il culto di Mitra legato al fenomeno naturale, ma all’epoca romana ben noto, della precessione degli equinozi. Le teorie che seguono questo approccio si basano su evidenze facilmente riconoscibili anche per un astrofilo, basta osservare il tipico bassorilievo mitraico come quello riportato.
A dominare la scena è Mitra che compie l’uccisione del toro, attorniato da simboli di carattere astronomico. Osservando con attenzione di può notare come Mitra stia volgendo lo sguardo verso il sole alle sue spalle, in alto a sinistra, mentre in alto a destra c’è la luna e delle stelle. A sinistra è presente un dadoforo (portatore di fiaccola) con la torcia rivolta verso l’alto, emblema del equinozio di primavera che si contrappone al dadoforo di destra con la fiaccola abbassata, rappresentazione dell’equinozio di autunno. Tra i due vediamo rappresentati un corvo, una spiga, lo scorpione, un serpente, un cane ed il toro, tutte rappresentazioni di costellazioni prossime all’equatore celeste del periodo e collocate tra i due equinozi. L’uccisione del toro potrebbe quindi rappresentare il passaggio dell’equinozio dalla costellazione del toro a quella dell’ariete.
Probabilmente non conosceremo mai il vero significato del mitraismo e dei suoi simboli, tuttavia è significativo notare come una stellina non molto appariscente, appartenente tra l’altro ad una costellazione spesso snobbata per via della carenza di oggetti non stellari interessanti, abbia una storia tutta sua ed un ipotetico antico culto religioso che celebrava il movimento dell’asse di rotazione terrestre e quindi anche la staffetta che le varie stelle polari compiono in un periodo di tempo millenario. La stella polare non è fissa, non è sola, ma messe tutte insieme, le stelle polari hanno una storia davvero unica.

 

di Fabrizio Benetton

 

Bibliografia:
Grande guida dell’astronomia, Libreria Geografica in collaborazione con A.S.I., edizione aggiornata 2020
Wikipedia – the free enciclopedia (Versione Italiana ed Inglese)
Cielo e Costellazioni, la scienza racconta i miti, Paolo Colona, irideventi edizioni, 2010
L’atlante del cielo, di Edward Brooke-Hitching, ed. mondadori 2020
Alle frontiere del cosmo, 3-La vita di una stella; A cura di Gianluca Ranzini, Testi di Lorenzo Pizzuti.
I miti Greci, di Robert Graves, ed. Longanesi 2021
Storie del Cielo, Il giro del cosmo in 365 notti, seconda ed., di Ilaria Sganzerla
L’origine astronomica di alcuni miti greci - Paolo Colona - Atti del 20° Seminario di Archeoastronomia – ALSSA
Romanoimpero.com – Culto di Mitra
Accademiadellestelle.org – Lezioni di Archeoastronomia – Paolo Colona

 

Immagini:
Wikipedia – the free enciclopedia
Catalogo generale dei beni culturali, Callisto ed Arcade, dipinto murale, Antonio Maria Viani (1550-1635), Complesso museale di Palazzo Ducale, Mantova

Informazioni

Astronomia Valli del Noce è un portale che vuole essere un punto di incontro e di informazione per l'attività astronomica che si svolge in Val di Non e Val di Sole (Trentino), ma non solo. Vuole anche essere un punto di partenza per tutti quegli astrofili alla ricerca di informazioni sul mondo dell'astronomia e per tutti quei neofiti che si avvicinano per la prima volta all'astronomia.

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