Encelado è uno degli obiettivi principali nella ricerca di vita nel Sistema solare. Le osservazioni effettuate dalla sonda Cassini durante il suo tour del sistema di Saturno hanno mostrano che la piccola luna, sotto la sua pelle ghiacciata e in corrispondenza del polo Sud lunare, nasconde un vasto oceano di acqua salmastra, considerato potenzialmente abitabile.
Due ricercatori del Southwest Research Institute (Usa), Christopher R. Glein e Ngoc Truong, hanno ora stimato il pH di questa immensa massa d’acqua, concludendo che il suo valore è significativamente più alcalino di quanto si pensasse in precedenza. I risultati dello studio in uscita su Icarus hanno importanti implicazioni per la comprensione delle condizioni di abitabilità e della geochimica interna della luna.
Il pH (o potenziale idrogenionico) è una misura dell’acidità o basicità di una soluzione acquosa. Si tratta di un parametro geochimico importante, il cui valore influenza la presenza delle specie chimiche disciolte e la solubilità dei minerali in soluzione, nonché le reazioni che vi avvengono, incluse quelle rilevanti per sostenere il metabolismo di eventuali forme di vita.
Le precedenti stime del pH dell’oceano di Encelado si sono basate su modelli di geochimica oceanica e sull’interpretazione dei dati di Cassini. Da queste indagini, su una scala che va da zero (che indica la massima acidità) a 14 (che indica la massima alcalinità) il valore di pH risultante si aggira intorno a 8-9, dunque leggermente alcalino.
La scoperta di fosfati nei grani di ghiaccio dei pennacchi di Encelado – getti che emergono dal sottostante oceano attraverso le fratture della crosta chiamate strisce di tigre – è stata fondamentale per meglio comprendere la chimica della luna, fornendo un nuovo “strumento” per una stima più accurata del pH.
Le principali specie di fosfato in una soluzione acquosa sono l’acido fosforico H3PO4, lo ione diidrogenofosfato (H2PO4–), lo ione idrogenofosfato (HPO42-) e lo ione fosfato (PO43-). I chimici si riferiscono spesso all’insieme di queste molecole come sistema fosfato: le reazioni che comportano la loro dissociazione in acqua, partono dell’acido fosforico e culminano con l’anione fosfato. Poiché la distribuzione di queste specie chimiche dipende fortemente dal pH della soluzione, sono spesso considerate come una sorta di cartina al tornasole. Il rapporto tra lo ione idrogeno fosfato e lo ione fosfato, in particolare, è considerato un indicatore diretto del pH.
Nel loro studio, Glein e Truong hanno implementato questo rapporto nei modelli geochimici, ottenendo una nuova stima del pH dell’oceano di Encelado. I risultati della ricerca hanno rivelato un pH della massa d’acqua sotto-superficiale compreso tra 10.1 e 11.6, un valore più alcalino di quello precedentemente calcolato.
Poiché questa stima tiene conto dati relativi ai pennacchi di Encelado, i ricercatori si sono chiesti se tale valore rappresenti davvero il pH dell’oceano profondo o solo quello delle goccioline espulse dalle strisce di tigre con i pennacchi. È possibile infatti che il pH dell’oceano sia in realtà diverso, intervenendo qualche processo a modificarlo. In effetti, spiegano i ricercatori, un processo che potrebbe aumentare il pH dell’oceano di Encelado c’è, ed avviene anche sulla Terra. Si tratta del degassamento dell’anidride carbonica disciolta (CO2).
Con il degassamento l’aumento del pH avviene perché l’anidride carbonica in acqua si comporta come un acido debole e la sua rimozione rende la soluzione più basica. Su Encelado l’acqua oceanica potrebbe degassare, portando la CO2 in prossimità della superficie e aumentando così il pH dell’oceano. E in effetti, aggiungono i ricercatori, la CO2 è uno dei principali gas rilevati nel pennacchio. Comprendere questo processo è dunque fondamentale per collegare il pH misurato nelle goccioline eruttate al reale pH delle acque più profonde dell’oceano.
Utilizzando un modello che assume un equilibrio tra i gas disciolti nell’oceano e la fase gassosa sovrastante la crosta ghiacciata della luna, i ricercatori hanno concluso che, sebbene avvenga, il processo è troppo limitato per causare aumenti significativi del pH dell’oceano, confermando che il valore stimato sulla base delle soluzioni saline del pennacchio è rappresentativo dell’acqua dell’oceano profondo.
La domanda che si sono posti a questo punto gli scienziati è cosa possa causare un pH così alcalino. L’ipotesi più probabile è una forte interazione dell’acqua con le sottostanti rocce, chimicamente molto basiche. Processi come la serpentinizzazione e l’alterazione acquosa di rocce peralcaline potrebbero essersene alla base, osservano gli scienziati.
Quanto alle implicazioni del pH per l’abitabilità, i ricercatori sottolineano che, sebbene possa influenzare aspetti rilevanti come la disponibilità di ammoniaca libera e l’abbondanza di metalli di transizione necessari per le funzioni di eventuali catalizzatori biologici, esso non preclude la possibilità di sostenere la vita: l’oceano potrebbe ancora supportare reazioni come la metanogenesi idrogenotrofa, una via biochimica attraverso la quale alcune specie di microrganismi producono metano utilizzando idrogeno e anidride carbonica come fonte di energia.
Questi risultati, concludono i ricercatori, suggeriscono una geochimica interna di Encelado più dinamica del previsto, con forti interazioni roccia-acqua e un ambiente che resta energeticamente favorevole allo sviluppo della vita. La revisione del pH motiva a riconsiderare molte ipotesi precedenti sull’abitabilità della luna, ridefinendo i criteri con cui si cercano segni di vita in ambienti oceanici extraterrestri.
Fonte: Media INAF