Uno studio guidato da Erica Luzzi, geologa planetaria e ricercatrice presso il Mississippi Mineral Resources Institute, pubblicato sul Journal of Geophysical Research: Planets, rivela quella che potrebbe costituire una potenziale fonte d’acqua per le future esplorazioni umane.
L’articolo presenta l’analisi geomorfologica di un’area al confine tra Arcadia Planitia e la parte settentrionale della Amazonas Planitia, situata alle medie latitudini di Marte. Studi recenti hanno infatti indicato la presenza di volumi sostanziali di ghiaccio in eccesso in prossimità della superficie presso Arcadia Planitia, rendendo questa regione un promettente candidato per future esplorazioni umane e robotiche. Lo studio si concentra su tre specifici siti di atterraggio candidati, denominati AP-1, AP-8 e AP-9.
Gli autori hanno identificato un’ampia varietà di morfologie associate alla presenza di ghiaccio. In particolare, hanno mappato e misurato circa 9mila poligoni da contrazione termica, stimando che il ghiaccio sottostante si trovi a una profondità di poche decine di centimetri dalla superficie – una profondità sufficientemente ridotta da renderlo potenzialmente accessibile per un futuro utilizzo delle risorse in situ.
Il terreno poligonale è onnipresente in tutte le regioni dei siti di atterraggio candidati per AP. Nell’area di studio sono stati identificati due diversi tipi di terreno poligonale: il terreno poligonale nodoso (Kpt) e il terreno poligonale liscio (Spt). Entrambi presentano poligoni a centro alto, ossia caratterizzati da centri rialzati e margini depressi (a differenza dei poligoni a centro basso, che presentano un centro depresso e margini depressi e rialzati). I due tipi di terreno possono essere distinti per il fatto che il primo è caratterizzato da una superficie poligonale a basso albedo e nodosa. I nodi sono posizionati casualmente al centro di alcuni poligoni a centro alto, generando morfologie a cupola. Il secondo è caratterizzato da una superficie poligonale liscia, a bassa albedo, caratterizzata da una densa popolazione di creste arcuate.
Sempre grazie alle immagini satellitari ad alta risoluzione acquisite dallo strumento HiRISE, i ricercatori hanno anche individuato recenti crateri da impatto che hanno messo a nudo del ghiaccio, confermando come effettivamente si trovi vicino alla superficie in diversi punti intorno ai siti di atterraggio candidati. Tuttavia, alcuni di questi impatti non hanno rivelato la presenza di ghiaccio, suggerendo che la sua distribuzione o abbondanza a queste latitudini risulti discontinua e non omogenea.
Lo studio del ghiaccio presente vicino alla superficie è fondamentale per affrontare importanti questioni scientifiche legate al clima, alla geologia e all’astrobiologia nelle medie latitudini di Marte. «Se vogliamo inviare esseri umani su Marte, abbiamo bisogno dell’acqua – non solo per bere, ma anche per il propellente e per molteplici applicazioni», spiega Luzzi. «Trovarla vicino alla superficie è vantaggioso, perché possiamo estrarla e utilizzarla con maggiore facilità. Questo approccio è noto come utilizzo delle risorse in situ ed è una strategia chiave per qualsiasi missione di esplorazione spaziale. Le medie latitudini rappresentano il compromesso ideale: ricevono abbastanza luce solare per garantire energia, ma sono sufficientemente fredde da conservare il ghiaccio sotto la superficie. Per questo motivo, si configurano come candidati ideali per futuri siti di atterraggio».
«Per la Luna, ci vorrebbe circa una settimana per andare e tornare dalla Terra per rifornirsi», spiega Giacomo Nodjoumi, dello Space Science Data Center dell’Agenzia spaziale italiana e coautore dello studio. «Ma per Marte, parliamo di mesi. Dobbiamo quindi essere pronti ad affrontare lunghi periodi senza la possibilità di ricevere rifornimenti dalla Terra. Le risorse più critiche sono l’ossigeno per respirare e l’acqua da bere. Ed è proprio questo che rende il nostro sito di atterraggio candidato particolarmente promettente».
«Lo studio ha anche importanti implicazioni in ambito astrobiologico», sottolinea Luzzi. «Sulla Terra, il ghiaccio è in grado di preservare biomarcatori di eventuali forme di vita passata e può persino ospitare comunità microbiche. Per questo motivo, studiarlo su Marte potrebbe aiutarci a capire se il pianeta sia mai stato abitabile».
Sarà necessaria una missione dedicata per determinare se le formazioni individuate siano costituite esclusivamente da ghiaccio d’acqua o se contengano anche altri materiali. «Non potremo mai esserne certi finché non avremo un rover, un lander o un essere umano sul posto in grado di effettuare misurazioni dirette», conclude Nodjoumi. «Abbiamo indizi concreti che suggeriscono si tratti di ghiaccio d’acqua, ma finché non ci arriveremo e non lo analizzeremo, non potremo esserne sicuri al cento per cento».
L’esplorazione umana del Pianeta rosso è ancora lontana, ma questo studio contribuisce a individuare con maggiore precisione i luoghi in cui potrebbero essere compiuti i primi passi.
Fonte: Media INAF